Giornalista dal 2009, esperta di tematiche ambientali e “green” e social media manager. Collabora con alcune delle principali testate eco e scrive sul suo blog letiziapalmisano.it. È consulente sulla comunicazione 2.0 di aziende ed eventi green e docente di social media marketing. In 3 aggettivi: ecologista, netizen e locavora (quando si può).
I rifiuti di plastica alla conquista dei nostri mari (e dei pesci)
L’estate si sta chiudendo e per molti italiani ha voluto dire vacanze al mare. Stimolati anche dai panorami marini, quanti hanno prediletto pranzi e cene a base di pesce e frutti di mare? Gustando i piatti tipici della penisola, però, forse non viene in mente che quella “riserva” di cibo e biodiversità è aggredita da una specie aliena in via di moltiplicazione: i nostri rifiuti. Gli ultimi dati, freschi freschi (come il pesce) di Greenpeace non rassicurano di certo. Cresce la produzione di plastica a livello globale – dalle 204 tonnellate prodotte nel 2002 si è giunti a 299 tonnellate del 2013 – e, in parallelo, aumenta in maniera esponenziale l’invasione dei mari e degli oceani da parte delle microplastiche: considerando che il 60-80% dei rifiuti presenti in mare è costituito da materiale plastico, i frammenti di plastica presenti nell’ecosistema marino (senza considerare i rifiuti di plastica presenti sulle spiagge o sui fondali) sono stimabili in un numero compreso dai cinquemila ai cinquantamila miliardi di unità con un peso di oltre 260 mila tonnellate. Questi sono i risultati contenuti nel rapporto "La plastica nel piatto, dal pesce ai frutti di mare" presentato nei giorni scorsi da Greenpeace. Il report sottolinea i pericoli per l’ecosistema marino e per gli organismi che lo popolano legati all’inquinamento causato dalle microparticelle di plastica prodotte dall'industria – pensiamo alle microsfere contenute nei cosmetici e nei prodotti per l'igiene personale - o da quelle legate alla degradazione in mare di oggetti di plastica più grandi. Gli esperti di Greenpeace mettono in luce i pericoli legati ai frammenti di plastica più piccoli che, a causa delle ridotte dimensioni - diametro o lunghezza inferiore ai 5 mm – vengono ingerite da un numero enorme di organismi come pesci, molluschi e crostacei e, di conseguenza, al termine della catena alimentare, rischiano di giungere sulle nostre tavole.
Frammenti di plastica nei pesci e negli scampi
Nel corso di uno studio effettuato su 121 pesci pescati nel Mediterraneo centrale sono stati rilevati frammenti di plastica nel 18,2% dei campioni analizzati e la percentuale è salita al 19,8% nel caso delle analisi effettuate su 26 specie di pesci catturati sulle coste atlantiche portoghesi. Un altro studio effettuato sugli scampi catturati sulle coste britanniche ha portato a risultati allarmanti: negli stomaci di oltre l’83% degli animali esaminati erano presenti frammenti di plastica. Ad oggi non esistono studi scientifici approfonditi sul possibile effetto tossicologico ricollegabile dall'ingestione da parte dell’uomo di cibo contaminato da microplastiche, ma sono di tutta evidenza i rischi connessi ad una alimentazione a base di pesci, crostacei e molluschi “inquinati”.
Marine Litter in Italia
Dalle indagini di Legambiente di Luglio sappiamo poi che anche i mari e laghi italiani non godono una situazione florida. Anzi, i sistemi chiusi come il Mediterraneo e i laghi sono ancora più a rischio. Nell’attesa che sistemi di pulizia delle tonnellate di frammenti inizino a funzionare, dimostrando così la potenzialità di un intervento, la prima regola è quella di ridurre il volume di rifiuti che finiscono in mare alla fonte. Sulle microplastiche – che per le dimensioni ridotte non possono neanche essere bloccate dai normali sistemi di depurazione – è in corso una campagna dell'associazione Marevivo che ha presentato una proposta di legge per l’adozione del divieto di produzione e utilizzo di microsfere di plastica nel settore cosmetico.