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La rigenerazione urbana green passa dall’agopuntura

L’architetto Gabriella Lungo spiega come sia economicamente sostenibile puntare alla riqualificazione energetica e attenta all’ambiente

Il cambiamento epocale in atto, economico, sociale, culturale, ci costringe a interrogarci e ad affrontare sfide inimmaginabili fino a pochi decenni fa. Una di esse è rappresentata dal problema della sostenibilità ambientale e del consumo del suolo, a fronte di una diffusa e dequalificata edificazione selvaggia avvenuta nel passato. L’ingresso dell’ufficio di Renzo Piano al Senato contrassegnato dal codice G124 è diventato il simbolo di un progetto  con cui l’architetto genovese ha illuminato proprio questo tema cruciale per il futuro: il volto nuovo da dare alle periferie delle metropoli. Da esigenze simili a temi come questo è nato lo spunto del convegno “Vivere Connessi & Contigui” che si terrà a Campi Bisenzio (Firenze) il prossimo 17 novembre, all’interno della cornice del Festival dell’Economia Civile. Un appuntamento interessante a evidenziare molti aspetti legati alla rigenerazione urbana, che passano dalla sostenibilità ambientale economica e sociale del territorio alla necessità di riqualificazione organica degli edifici. Si affronterà anche la questione del consumo di suolo, un punto particolarmente critico visto che sembra non siamo in grado di smettere di consumare suolo.

Da qui la necessità di dialogare per ritessere e rigenerare spazi civili, come sottolinea il convegno organizzato da Sevensbo, progetto pilota di co-working mirato alla sostenibilità ecologica, sociale ed economica. Uno degli interventi della giornata, intitolato “Ri-vitalizzare luoghi con tecniche agopunturistiche” è diretto dalla co-fondatrice del progetto, l’architetto Gabriella Lungo. Specializzata in progettazione integrata, sostenibile e in ecodesign e autrice, tra l’altro, del Manuale della bioedilizia (Giunti/Demetra editore) da anni s’interessa di temi legati alla eco sostenibilità in edilizia. È lei a spiegarci che il convegno si propone «come momento di riflessione multidisciplinare sul ‘come’ sia oggi possibile rigenerare territori senza consumo di suolo; riattivare le relazioni forti fra i luoghi che li caratterizzano; ricreare opportunità di lavoro; favorire relazioni umane e socialità civile, tra periferie e centri. Innescare processi virtuosi che si autoalimentino, nonostante la complessità in cui si opera».

Cosa significa rivitalizzare luoghi con tecniche agopunturistiche?

Quando si è chiamati a intervenire sul costruito esistente, molto spesso si viene accolti dai committenti con perifrasi cautelative quali: “Ci piacerebbe, ma mancano le risorse”. La sfida in campo spesso pone l’architettura di fronte alla propria natura profonda che è sì tecnica, ma anche umanistica. Non si può prescindere dall’ascolto profondo del contesto, dei luoghi, delle storie e delle persone che le abitano. Occorre aver cura di ricercare i gangli significativi del sistema in cui si è chiamati a intervenire e su questi agire con interventi minimalistici ma significativi.

Se si è stati in grado di cogliere i nuclei energetici del sistema, il processo riesce e, come l’agopuntura cinese fa con il corpo umano, l’intervento minimalista ma preciso, ricrea altro insieme a “case e cose”. Penso, per esempio, alla rivitalizzazione delle attività sociali, all’apertura di negozi, bar, cinema, punti di aggregazione, al posto di massicci interventi che spesso si sono rivelati sterili ed estranei per gli abitanti.  Un intervento potrà dirsi efficace se sarà in grado di riattivare energie latenti e sopite, sociali ed economiche, risvegliando quell’energia che è il cuore della vita rigenerativa dei luoghi. Si sarà così garantito il successo dell’azione agopunturistica o, per dirla con Renzo Piano, di rammendo del patrimonio pubblico urbano e il rispetto del budget disponibile.

Quali sono i luoghi da rivitalizzare?

Sono le periferie, quegli edifici che hanno dismesso la loro funzione come le vecchie stazioni, i presidi ospedalieri, le colonie estive, le strutture industriali, i borghi abbandonati e le aree semi centrali delle grandi città. Occorre coniugare questi spazi con le nuove dimensioni umane, ammodernare gli edifici, mediante l’adeguamento sismico, energetico, impiantistico e tutto ciò implica la rivisitazione dei quartieri, ristabilendo negozi di prossimità, servizi collettivi, parchi e ogni connessione utile in tal senso.  Non basta restaurare un edificio o un complesso perché i risultati siano conformi alle aspettative: occorre fare molto di più. È necessario che il processo di rigenerazione contempli la ritessitura delle relazioni che quel manufatto ha con il tessuto territoriale in cui si colloca, che sappia essere attrattivo e accogliente per le persone che vi abitano e che vi transitano e che, non ultimo, arricchisca di un forte senso d’identità civile tutta la Comunità che ne fruisce.

Veniamo ai microcontributi: di che entità economica stiamo parlando, quali sono i soggetti erogatori e chi può ottenerli?

Faccio un esempio virtuoso e dal basso: viene da Praiano, un piccolo borgo della Costiera Amalfitana dove gli abitanti si sono autotassati e hanno trasformato il paese  in un museo a cielo aperto: chi lo visita ha un’app e una guida per le 150 opere esposte. Sono riusciti a raggiungere l’obiettivo proprio con i finanziamenti europei ottenuti partecipando ad un bando regionale. Il risultato è andato molto oltre i confini nazionali e le aspettative: uno dei giovani fautori del progetto è stato convocato come leader civico dalla Fondazione Obama a raccontare questa esperienza insieme ad altri 499 giovani innovatori provenienti da tutto il mondo.

Per approfondirne i contenuti e i metodi di accesso, è sufficiente mettersi in contatto con soggetti che si prefiggono questi obiettivi: sono società o associazioni specializzate in progettazione europea e con uffici in Italia e a Bruxelles, in grado di elaborare un quadro complessivo dei fondi e dei programmi europei disponibili in tempo reale. Siamo in forte ritardo nel comprendere che esistono possibilità di finanziamento che l’Italia perde ogni anno, in misura di miliardi di euro, per mancanza di informazione e di formazione.

Come entra in gioco il tema della sostenibilità ambientale ed economica in tutto questo?

Oggi viviamo in un contesto caratterizzato da due rivoluzioni in atto: la rivoluzione digitale e la sostenibilità ambientale. Così come le rivoluzioni industriali del passato hanno completamente cambiato il modo di produrre, consumare, vivere grazie alle nuove tecnologie, anche la rivoluzione digitale sta trasformando il modo di produrre e questo sta portando a una sempre minore presenza della manifattura. Essa è più leggera, meno inquinante ed effettivamente just in time; addirittura oggi si ordina e poi si produce e nei prossimi anni questo diventerà la regola. Nello stesso tempo il settore dei servizi si è ampliato e diversificato. È aumentato di pari passo anche l’inquinamento delle città, conseguenza anche dell’avvenuto sorpasso nel 2014 del numero di abitanti in aree urbane da quelle rurali. A fronte di ciò si è riscontrata una maggiore sensibilità dei paesi europei verso l’ambiente che hanno generato tutte le politiche ambientali UE, oltre all’accordo di Kyoto e successivi. Questo percorso di sostenibilità ambientale è divenuto un aspetto importante per l’Europa (e non solo) e deve essere coniugato con la sostenibilità economica. Da qui la nascita di un settore ricco di opportunità quale appunto quello della green economy. I progetti da noi ipotizzati tengono conto della sostenibilità umana, sociale, ambientale ed economica perché si possa andare nella direzione di un nuovo modo di produrre, consumare e vivere basata sull’economia circolare, quella economia civile nella cui cornice si inserisce il nostro convegno di Campi Bisenzio.

Crede sia possibile coniugare micro-contributi e “tecniche agopunturistiche” per migliorare il patrimonio immobiliare italiano?

Sì, è possibile. Vi sono alcuni percorsi praticabili e concreti. Da svariati anni un team di ricercatori che condivide un approccio sistemico alla sostenibilità ambientale – ci sono anch’io tra questi “visionari concreti” – lavora e s’interroga su temi importanti come quelli della ricostruzione di economie virtuose, di opportunità di lavoro e di benessere collettivo. Questo lavoro ha portato alla recente pubblicazione del volume CASE PRO.P.RI.E. , dal sottotitolo esplicativo: “Proposta di un piano di ristrutturazione energetica del patrimonio immobiliare”. Con questo volume (edito da Aracne) si è cercato di reagire, ricercando soluzioni sistemiche che possano consentire di ripartire dal basso, raccogliendo le migliori energie presenti e declinando i processi in soluzioni specifiche quali, per esempio, l’efficientamento energetico coniugato con l’adeguamento sismico e la rigenerazione urbanistica, la rivitalizzazione dei borghi abbandonati con la rinascita di presidi di sicurezza e cura del territorio, l’emergenza migratoria e le nuove povertà, la rivitalizzazione delle aree semi centrali delle grandi città e la loro trasformazione in luoghi identitari.

Autore

Andrea Ballocchi

Andrea Ballocchi

Andrea Ballocchi, giornalista e redattore free lance. Collabora con diversi siti dedicati a energie rinnovabili e tradizionali e all'ambiente. Lavora inoltre come copywriter e si occupa di redazione nel settore librario. Vive in provincia di Milano.

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