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Sisma, ricostruire in bioedilizia è possibile

Tecniche e materiali ecosostenibili possono contribuire nelle nuove costruzioni e nelle ristrutturazioni. Il parere dell’architetto Enrico Micelli, di ANAB
  • Amatrice

    Amatrice

Sono trascorse due settimane dal sisma che ha distrutto Amatrice e messo in ginocchio parecchie località del centro Italia. La parola ricostruzione oggi compare in tutta la sua urgenza, anche se la terra trema ancora ed è causa di danni, anche gravi. Ma come intervenire? Tra i vari discorsi che si sono letti in questi giorni, oltre alle polemiche per quanto – male – è stato fatto, poco o quasi niente si è detto in merito alla volontà di ricostruire in bioedilizia, in chiave ecosostenibile, tenendo quindi conto di tecniche e materiali naturali e rispettosi dell’ambiente. Per questo abbiamo voluto approfondire l’argomento con ANAB (Associazione nazionale architettura bioecologica) e in particolare con l’architetto Enrico Micelli. Figura storica dell’associazione, di cui è stato tra i fondatori e per sette anni presidente è anche autore del libro “Costruire in bioedilizia” cui seguirà prossimamente “Ristrutturare in bioedilizia” (manuale di consolidamento delle fondazioni di fabbricati antecedenti all'avvento del calcestruzzo armato). Ma in particolare Micelli è friulano e ha vissuto in prima persona, lavorando alla ricostruzione, a seguito del sisma che colpì la sua regione nel 1976.

Architetto Micelli, quali sono gli aspetti basilari da considerare quando si devono decidere interventi di ricostruzione e di ristrutturazione dopo un terremoto?

Innanzitutto a seguito di un sisma spesso ci si trova di fronte a un patrimonio che deriva dal passato, più o meno recente, che è stato oggetto di varie ristrutturazioni, ampliamenti o variazioni che hanno visto l’impiego di materiali non proprio in sintonia con l’ambiente. Quindi è necessario fare una valutazione tra ciò che è riparabile oppure no. Per quanto riguarda gli edifici convenzionali occorre anche analizzare l’opportunità di demolire e ricostruire oppure riparare. Nel caso di dubbi, è preferibile la demolizione, per evitare il più possibile di impiegare male o sprecare risorse sensibili. Comunque gli edifici storici vanno salvaguardati.

Che apporto può dare la bioedilizia?

«Abbiamo un patrimonio di tecniche e tecnologie, materiali e strutture consolidate da una storia trentennale sul campo della bioedilizia. Solo attenendoci alle tecniche, ve ne sono diverse praticabili con costi anche competitivi con quelle convenzionali. Occorre naturalmente comprendere con che tipo di struttura si ha a che fare e come la si vuole riparare. Una volta compreso quali siano le strategie ecosostenibili da attuare occorre valutare se sia possibile avere a disposizione maestranze in grado di applicarle. Le tecniche di bioedilizia non implicano conoscenze trascendentali, tutt’altro: si tratta di tecnologie semplici, che tra l’altro permettono di ottenere una solidità tale da consentire all’edificio la resistenza sismica. Il discorso si riconduce sempre all’analisi del tipo di fabbricato cui abbiamo a che fare, in quanto ogni realizzazione presuppone un ripristino ad hoc. Però se si considera l’impiego di calcestruzzo armato, esso offre sì garanzie di resistenza sismica elevate però bisogna analizzare puntualmente anche i risvolti che può avere questa tecnica. Un edificio costruito in questo modo può aver resistito al sisma, ma va anche pensata la sua impronta ambientale, che è limitata. Per esempio, per riparare una muratura: la rete metallica elettrosaldata all’interno e all’esterno determina una gabbia di Faraday, quindi il campo elettrico naturale è praticamente assente e viene inoltre deformato il campo magnetico naturale terrestre. E poi entra in gioco anche la non traspirabilità dell’edificio, che richiede la presenza una ventilazione controllata che permetta di avere un clima indoor salubre con spese aggiuntive non indifferenti, anche per quanto riguarda la manutenzione e la sanificazione periodica dei condotti. In ogni caso occorre studiare la tipologia esistente, intervenire in maniera razionale, senza strafare, mettendo le persone che torneranno ad abitare questi edifici nelle condizioni di estrema sicurezza e salubrità.

Quali sono gli aspetti fondamentali da considerare nella ristrutturazione di uno stabile?

In generale, se l’edificio è ristrutturabile, il primo intervento dopo le puntellazioni e la sua messa in sicurezza è quello relativo alle fondazioni. Qui entrano in gioco il calcestruzzo armato e le iniezioni ipogee. L’apparato fondazionale è prioritario: deve essere studiato in maniera tale da mettere l’edificio nelle condizioni di avere un attacco a terra uniforme ed evitare spostamenti e movimenti differenziati della muratura che si trova nella parte superiore, che sia in laterizio, telai o pareti in calcestruzzo o altro. Poi in relazione a come l’edificio è realizzato allora è importante capire con che complesso abbiamo a che fare: ovvero, se sia in pietra, in legno, in una struttura mista, regolare o irregolare, parzialmente o totalmente rimasta in piedi… quindi ci sono svariati fattori e inconvenienti cui dare una risposta.

Come ANAB avete intenzione di operare interventi specifici in Centro Italia?

L’esperienza dell’Emilia Romagna è stata significativa: lì, in modo continuativo o occasionale hanno operato circa settanta tecnici dell’associazione. ANAB, tra le altre cose, si sta muovendo anche per realizzare un intervento in centro Italia capace di dare un contributo positivo e propositivo in tema di attenzione all’ambiente. Si è pensato, infatti, di realizzare un edificio in bioedilizia proprio per dare un segnale chiaro che un altro modo di costruire o di riparare è possibile.

Come entrano in gioco invece i materiali edili naturali?

È bene distinguere tra materiali impiegabili negli elementi strutturali da quelli utilizzabili nelle finiture. Nel primo caso, a parte i sistemi tradizionali o, meglio, convenzionali, come calcestruzzo armato o strutture metalliche, ci sono altre tecniche combinabili, che vedono, per esempio, l’impiego del legno, oppure di tecniche di riparazione con il sistema “cuci e scuci” (che consiste in una demolizione locale di parti di tessitura muraria e successiva ricostruzione - nda) oppure l’inserimento di tiranti o catene in grado di mettere in sicurezza le pareti anche di una certa altezza. Altro metodo è quello di praticare delle iniezioni con malte non troppo consistenti e ad alta resistenza a base calce, tipo romana, la stessa per capirci impiegata per il Pantheon. L’idea prevalente è quella di non usare materiali troppo invasivi né discriminanti, rendendo l’insieme non uniforme, cioè irrigidendo alcune parti e altre meno. Il rischio, in questi casi è di causare ancora più danni in presenza di un evento sismico successivo.

Autore

Andrea Ballocchi

Andrea Ballocchi

Andrea Ballocchi, giornalista e redattore free lance. Collabora con diversi siti dedicati a energie rinnovabili e tradizionali e all'ambiente. Lavora inoltre come copywriter e si occupa di redazione nel settore librario. Vive in provincia di Milano.

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