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Dal passato al futuro col restauro ecosostenibile

Il risanamento “bio” della facciata di un edificio storico evidenzia i benefici offerti dai materiali naturali per tutelare il costruito e la sua bellezza
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  • prima e dopo

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  • restauro-di-facciata

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A Boffalora Sopra Ticino, paese milanese percorso dal Naviglio Grande, sorge un edificio che ha un passato plurisecolare. Si tratta dell’Osteria S. Antonio, che in questi giorni ha visto un'importante opera di restauro conservativo storico-artistico in chiave ecosostenibile. L’intervento – il risanamento della facciata – è stato condotto con criteri di bioarchitettura, con materiali e tecniche rispettose dell’ambiente. Ma non solo: il restauro ha evidenziato il passato storico del locale, evoluzione di un antico insediamento (tardo XIV secolo) dei Certosini impiegato in osteria con alloggio e successivamente adibito, nell’Ottocento, a dogana dal governo austriaco. Rispetto dell’ambiente e della storia sono i due concetti base che fanno dell’intervento sulla facciata un significativo esempio di quello che da tempo sta prendendo piede anche in edilizia: parliamo delle opere di risanamento svolte con criteri di bioedilizia.

Restauro, la parola agli esperti

Per comprendere meglio la portata dei lavori abbiamo incontrato Silvia Pullega, architetto a capo dei lavori, e Daniele Minioni, restauratore artistico e architettonico, per comprendere meglio cosa significhi questo tipo di procedura. «Innanzitutto, l’intervento ha presupposto un’attenzione elevata, per capirci analoga a quella posta a una chiesa o a un edificio storico-artistico – spiegano gli esperti – Questo perché si voleva garantire al complesso oltre al ritorno alla sua primitiva bellezza anche la garanzia di lunga durata della “piena salute” della struttura muraria. È un fattore importante, ma trascurato per esempio nel caso delle abitazioni storiche colpite dal recente sisma». l’uso spesso improprio di materiali a base cementizia comporta la riduzione di scambio igrometrico fra esterno ed interno, il trattenimento dell’umidità di risalita per osmosi, oltre ad un elevato irrigidimento degli intonaci rispetto ai paramenti murari. Queste condizioni, in casi estremi come un terremoto, possono facilitare i crolli delle stesse strutture. – Prosegue l'esperto di restauro – Personalmente, seguendo di recente il consolidamento di una chiesa del XVI secolo in una zona sismica, ho dato parere negativo all’utilizzo di soluzioni analoghe. In un altro caso di cui mi sono occupato, dopo aver proceduto con il carotaggio per esaminare le malte d’allettamento all’interno delle murature, ho potuto constatare che la loro resistenza era stata molto ridotta dall’eccessiva presenza di umidità, dovuta all’abbondate utilizzo di intonaci a base cementizia e coloriture a base sintetica.

restauro di facciata con criteri di bioedilizia

La facciata restaurata

Restauro, difficoltà e sfide con i criteri della bioarchitettura

Non è facile far comprendere alla committenza l’importanza di un intervento attento alla tutela del bene architettonico e dell’attenzione ai materiali, che richiede una spesa superiore rispetto a un lavoro svolto con tecniche e materiali tradizionali. «Per questo abbiamo voluto spiegare nei dettagli la bontà del progetto e le prospettive e i vantaggi a lungo termine per lo stabile utilizzando questa modalità di lavoro. La committenza, dopo i primi dubbi, ha compreso la bontà dell’intervento e ha apprezzato sensibilmente quanto fatto», spiega l’architetto. La prima difficoltà pratica che si è dovuta affrontare è stata quella della reperibilità dei materiali: «ci siamo trovati in pieno agosto ad avere bisogno della calce – spiegano i due professionisti – Abbiamo scoperto nel giro dei 30 chilometri che ci separano da Milano non vi era alcun esercizio che la commerciava». Anche l’uso accorto dei materiali naturali ha richiesto una formazione sul campo della manovalanza, non abituata a lavorarli.

Spazio ai materiali naturali: calce, sabbia e… chiara d’uovo

L’intervento più significativo è stato asportare tutto quello che era stato aggiunto nel corso dei secoli sulla facciata, richiedendo l’eliminazione di qualche tonnellata di malte cementizie che, addirittura, avevano deformato l’assetto originario dell’edificio. «Abbiamo provveduto a riparare i danneggiamenti prodotti dall’azione di queste malte, utilizzando una miscela di calce e cocciopesto (mattone macinato misto a calce) e poi abbiamo lavorato a risolvere i problemi propri della facciata, ovvero l’umidità in risalita nella parte inferiore e la mancanza di umidità nella muratura superiore data dalla assenza di interazione con l’ambiente, provocata appunto dallo strato aggiunto», segnala Minioni. Per il problema dell’umidità generale è stata impiegata calce idraulica naturale, specie in basso, e aggiungendo poi sabbia naturale propria del luogo fino al tetto. Dopo un lavaggio specifico si è intervenuti con una rasatura composta da polvere di marmo, grassello di calce stagionato e leganti organici, composti da chiara d’uovo e caseina. Al termine è stata posta, in basso, una zoccolatura in coccio pesto e calce idraulica naturale, in modo da non trattenere l’umidità sempre presente nella muratura lasciandola traspirare. Ultimo problema, strutturale, è stato quello di nascondere i cavi elettrici, nella parte superiore. Anche in questo caso l’adozione di materiali naturali ha permesso di risolvere in modo esteticamente piacevole la questione. «Praticamente è stato riproposto un cornicione sotto tetto, realizzato tutto a mano – spiega il restauratore, artefice dello stratagemma – Un sistema desunto dalle chiese e che prevede l’impiego di chiodi e filo d’acciaio per creare una sorta di armatura, coprendola poi da una malta forte di calce premiscelata e poi da una malta leggera formata da calce idraulica e cellulosa. Tale struttura permette, in fase di lavorazione, un’estrema duttilità e quando è asciutta una buona resistente». Tra l’altro, durante i lavori, sono venuti alla luce particolari storici dell’edificio: «abbiamo scoperto un pilastro in granito che segnava l’ingresso originario e anche la scritta di presentazione: “Osteria di Sant’Antonio con alloggio e stallazzo”, sinonimo di un approdo dei carri che risalendo dal ponte del Naviglio Grande trovavano qui ospitalità.

la facciata restaurata con tecniche di bioarchitettura

Ecco la scritta antica ricomparsa dopo il restauro

Autore

Andrea Ballocchi

Andrea Ballocchi

Andrea Ballocchi, giornalista e redattore free lance. Collabora con diversi siti dedicati a energie rinnovabili e tradizionali e all'ambiente. Lavora inoltre come copywriter e si occupa di redazione nel settore librario. Vive in provincia di Milano.

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