Laureato in Economia dell'Ambiente e dello Sviluppo e giornalista per Giornalisti nell’Erba. Houston, we have a problem: #climatechange! La sfida è massimizzare il benessere collettivo attraverso la via della sostenibilità in modo da garantire pari benefici tra generazioni presenti e future. Credo che la buona informazione sia la chiave in grado di aprire la porta del cambiamento. Passioni: molte, forse troppe.
Clima: nessuno fa abbastanza
“Arrestare l’aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2 gradi centigradi, facendo il possibile per restare sotto la soglia di 1,5 gradi centigradi”. Quante volte abbiamo letto, dal dicembre 2015, la precedente frase che identifica l’obiettivo posto durante il summit di Parigi della COP 21, per sperare di contenere gli effetti indesiderati generati dal riscaldamento globale.
Come procedono, quindi, i Paesi nel contenimento delle emissioni gas serra in base alle politiche climatiche messe in campo? Male. A tratti malissimo.
Potrebbe essere questa la sintesi estrapolata dall’ultimo “Climate Change Perfomance Index” (Ccpi), studio condotto da Germanwatch, NewClimate Institute e Climate Action Network, che monitora gli sforzi climatici dei singoli Paesi.
Secondo il rapporto, le cose non vanno nella giusta direzione, soprattutto se consideriamo la velocità con cui la decarbonizzazione deve procedere: siamo troppo lenti per vincere la battaglia climatica.
Analizzando le performance dei 56 Paesi responsabili del 90% dei gas serra immessi in atmosfera, infatti, nessuno possiede una prestazione tale da far pensare di essere sulla giusta strada per il raggiungimento dell’obiettivo di Parigi.
Il Ccpi, in rapporto ai quattro elementi che giocano un ruolo chiave per la lotta al cambiamento climatico - le politiche climatiche messe in campo dai singoli Stati, lo stato dell’arte nella riduzione delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera, la diffusione delle energie rinnovabili e i livelli dei consumi energetici -, valuta le prestazioni in base a quanto fatto fino ad ora, e in base agli scenari fissati al 2030 e al 2050, anno in cui si dovrebbe raggiungere la neutralità delle emissioni (in pratica, la quantità dei gas serra generata deve essere totalmente assorbita dai nostri ecosistemi).
La classifica Ccpi
Qualche giorno fa il Cnr (Centro Nazionale delle Ricerche) ha confermato che per l’Italia l’anno appena trascorso è stato il più caldo dal 1800, mentre aumentano i danni economici e sociali subiti, di anno in anno, in seguito alla fortificazione degli eventi estremi ad opera del climate change.
Eppure, per il Ccpi, il nostro Paese peggiora nelle politiche di tutela climatica: passa dalla 16esima posizione alla 23esima. Pur presentando buoni dati su consumi energetici, rinnovabili e quantità di emissioni (rispetto al tetto massimo consentito in questo momento, ma va ricordato che l’Italia, e lo dice l’Ispra, ha comunque invertito la tendenza: le emissioni sono tornate a crescere dell’1/2% l’anno), il Belpaese si distingue per prospettive inappropriate: manca una vera strategie e una visione capace di mantenerci su un sentiero virtuoso.
Va detto che, se ci confrontiamo con altri Paesi europei, non fanno meglio né Francia (passata dalla 15esima alla 21esima posizione) e né Germania (dalla 22esima alla 27esima).
In fondo alla classifica troviamo Arabia Saudita e Iran per via dello scarso impegno dimostrato nello sviluppo di un sistema energetico basato sulle rinnovabili. Del tutto inappropriate, poi, le politiche messe in campo dagli Stati Uniti a seguito dell’amministrazione Trump: hanno ricevuto un punteggio pari a zero.
Dato che, come si diceva in precedenza, “nessuno fa abbastanza”, le prime tre posizioni del ranking vengono lasciate vuote, mentre le nazioni più in alto nella classifica sono: Svezia, Marocco, Lituania, Lettonia e Gran Bretagna (rispettivamente al quarto, quinto, sesto, settimo e ottavo posto).