Laureato in Economia dell'Ambiente e dello Sviluppo e giornalista per Giornalisti nell’Erba. Houston, we have a problem: #climatechange! La sfida è massimizzare il benessere collettivo attraverso la via della sostenibilità in modo da garantire pari benefici tra generazioni presenti e future. Credo che la buona informazione sia la chiave in grado di aprire la porta del cambiamento. Passioni: molte, forse troppe.
Nulla di nuovo da Bonn e Osaka
Si sono da poco conclusi due importanti vertici che hanno discusso di cambiamento climatico, parliamo della riunione intermedia (in preparazione della COP 25, che quest’anno si terrà in Cile a inizio dicembre) di Bonn, e (anche) di questioni ambientali, il G20 di Osaka a cui hanno preso parte i leader delle economie più avanzate sul pianeta.
A Bonn si è parlato soprattutto di finanza climatica e dei fondi da destinare ai Paesi in via di sviluppo per attività di mitigazione e adattamento al clima che cambia. Alla conferenza, tra il 17 e il 27 giugno, hanno preso parte circa 3300 delegati. A tenere banco, anche da un punto di vista mediatico, sono state le posizioni di Brasile e Arabia Saudita. In sede negoziale l’Arabia Saudita è riuscita a disinnescare i colloqui ufficiali sull’ultimo rapporto IPCC che, in sostanza, afferma che per raggiungere l’obiettivo 1,5 gradi centigradi (inteso come aumento medio della temperatura terrestre rispetto ai livelli pre-industrali), in modo da evitare i più gravi disastri generati dal cambiamento climatico, ci restano solo 11 anni di tempo. Sul fatto è intervenuto l’etiope Gebru Jember Endalew che, in qualità di capo negoziatore per i Paesi meno sviluppati, ha dichiarato: “non possiamo negoziare la scienza. Questo non è il nostro mandato. Escludere il rapporto IPCC dai negoziati formali è stato un errore, ma meglio andare avanti senza nulla piuttosto che avere una lista della spesa di problemi”.
Il Brasile, invece, è riuscito a bloccare alcuni passi avanti fatti sui meccanismi di carbon pricing: mettere un prezzo alla CO2 in modo da abbattere le emissioni gas serra e favorire l’innovazione tecnologica pulita.
Sull’esito delle negoziazioni si è espressa Patricia Espinosa, segretario esecutivo dell’UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change): “i governi hanno fatto dei progressi in diversi settori importanti. Ma anche se l’atmosfera è stata costruttiva, dobbiamo risolvere tutte le questioni in sospeso entro la COP25. Dobbiamo affrontare cambiamenti profondi e sistemici all’interno della società, un punto fondamentale per un futuro a basse emissioni, altamente resiliente e più sostenibile. Le persone chiedono risultati, sia su internet che per le strade di tutto il mondo, dobbiamo dimostrare che ci stiamo assumendo le nostre responsabilità. L’Accordo di Parigi è chiaro: è il nostro lavoro. Abbiamo il mandato di farlo. Dobbiamo mantenere la parola data”.
In Giappone, invece, sul tavolo del dibattito dei leader mondiali, oltre alle questioni finanza e commercio globale, ha avuto spazio la questione ambientale (in generale) e il cambiamento climatico. Nella dichiarazione finale, “la dichiarazione di Osaka”, viene infatti dedicata una parte alla “creazione di un mondo inclusivo e sostenibile”. Tuttavia le conclusioni raggiunte sembrano piuttosto banali e prive di quella sostanza di cui avremmo bisogno in questo periodo dove aumenta la temperatura e crescono le pressioni sugli ecosistemi, fattori che mettono a rischio il benessere dell’intera popolazione mondiale.
Sul cambiamento climatico, in sostanza, i Paesi industrializzati confermano il sostegno ai Paesi poveri e il voler rispettare l’Accordo di Parigi, tranne gli Stati Uniti che, è scritto nero su bianco, “restano fuori dall’Accordo perché svantaggia i lavoratori americani” ma “restano gli USA un Paese impegnato nella diffusione delle tecnologie pulite per abbattere le emissioni e tutelare la qualità dell’ambiente”. I Paesi, poi, si impegnano di nuovo a ridurre le sovvenzioni per i combustibili fossili anche se le recenti ricerche dimostrano che negli ultimi anni nei Paesi del G20 queste sono in costante crescita. Infine, da segnalare l’Osaka Blue Ocean Vision, strategia per eliminare la plastica nei nostri mari.