Andrea Ballocchi, giornalista e redattore free lance. Collabora con diversi siti dedicati a energie rinnovabili e tradizionali e all'ambiente. Lavora inoltre come copywriter e si occupa di redazione nel settore librario. Vive in provincia di Milano.
Energia marina, è il momento della verità
L’energia marina torna a far parlare di sé. Il filone di ricerca italiano ed europeo vocato allo sfruttamento energetico derivante da onde e correnti marine si propone all’attenzione generale. L’occasione di questo rinnovato interesse è MARINET2, proseguio di quel progetto comunitario di cui Tekneco si è a suo tempo occupato. Acronimo di Marine Renewables Infrastructure Network, ha trovato slancio grazie al sostegno dell’Unione Europea che ha deciso di finanziarlo totalmente, stanziando quasi 11 milioni di euro.
Tra i partner del progetto si conferma l’Università di Firenze, in particolare ilDipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale, che vede di nuovo parte attiva il LABIMA – Laboratorio di Ingegneria Marittima diretto da Lorenzo Cappietti. Lo stesso sarà uno degli organizzatori e moderatore del workshop I-MaR: Innovative Marine Renewables, parte del convegno intitolato “Coast: gestione e tutela della costa, del mare e dei porti” che si tiene all’interno della fiera di tecnologie Rem-Tech Expo (Ferrara, 20-22 settembre).
Perché si torna a parlare di energia dal mare? Per le sue enormi potenzialità: «l’energia ricavabile dai mari sotto varie forme sarebbe potenzialmente sufficiente a soddisfare in toto il fabbisogno energetico mondiale», spiega lo studioso toscano che segue, per l’ateneo fiorentino, il progetto. Ora c’è bisogno di comprendere quanto di questo potenziale sia sfruttabile e soprattutto come. L’Europa ci crede, come detto dell’investimento stanziato. Ma occorre arrivare presto e bene a una scalabilità commerciale.
Da dove comincia MARINET2 e quali sono le novità che lo caratterizzano?
«Partiamo dal precedente, da cui prende nome, terminato nel 2015. A gennaio di quest’anno si è avviata la nuova versione del progetto, parte del nuovo programma quadro Horizon 2020. Al precedente è stato riconosciuto il successo colto dall’aver raggiunto gli obiettivi e da qui è stata accolta la possibilità di finanziare la nuova versione, allargando il numero di partner europei e potenziando il budget. Per quanto riguarda le novità tecniche, oltre ad avere più laboratori di ricerca coinvolti rispetto al primo (passati da 29 a 39) si può contare anche sulla possibilità non solo di testare fisicamente i progetti ma di condividere in rete a livello europeo conoscenze e dati già acquisiti tramite ricerca scientifica.
Cosa chiede l’Unione Europea a MARINET2?
Richiede di finalizzare e orientare la ricerca verso quella classe di dispositivi più promettenti. Specie sulla produzione di energia da moto ondoso, non si è ancora selezionata la soluzione tecnologica più promettente. Quindi, da qui al 2022, si dovrà operare una selezione per far sì che le tecnologie possano arrivare al livello commerciale. Per il resto MARINET2 non si distacca molto, quanto all’approccio scientifico, dal precedente: ovvero, al consorzio di laboratori internazionale possono essere inviate candidature, vagliate a livello tecnico e scientifico; una volta ottenuto parere positivo, possono ottenere la copertura finanziaria per accedere ai laboratori per i test sperimentali. Questa possibilità rappresenta un punto di forza che permette di azzerare il costo economico che le imprese dovrebbero pagare per accedere ai migliori laboratori di ricerca mondiali».
L’Unione Europea dà prova di credere davvero nelle potenzialità dell’energia marina?
«Direi proprio di sì. Di certo a livello comunitario si è espressa una certa pressione perché si arrivi a una selezione definitiva di una tecnologia emergente e in grado di evitare la dispersione nella sperimentazione di tante tipologie differenti proprio per accelerare lo sviluppo di quella più promettente. C’è quindi una certa attesa per un qualcosa che si deve ancora conquistare. Quindi è presumibile che tutto il settore delle energie marine, dalla ricerca all’impresa, sarà sotto un severo esame da qui ai prossimi cinque anni».
È la volta buona perché le forme di produzione di energia marina possano affermarsi?
«Negli ultimi anni si è passati dalla fase applicativa in campo e anche al collegamento dei dispositivi alle reti elettriche nazionali soprattutto per quanto concerne l’estrazione d’energia dalle correnti marine. In questo caso ci sono già diversi esempi d’impianti passati alla produzione. Nel caso di estrazione energetica da moto ondoso ciò che attiene all’applicazione tecnologica è invece un passo indietro, mancando tuttora un’iniziativa commerciale. In ogni caso, siamo già in una fase evoluta, post sperimentale, anche se per questa seconda tipologia si sconta appunto la mancanza di individuazione ancora della tecnologia dominante. Oggi uno dei dispositivi più sviluppati e promettenti è la soluzione a oscillazione della colonna d’acqua (Oscillating Water Column – OWC), ampiamente testata in vari contesti internazionali. In Italia, conta una prima realizzazione infrastrutturale al porto di Civitavecchia.»
Le prospettive ci sono e appaiono degne d’interesse in questo comparto energetico?
«Partiamo da una scala mondiale e ragioniamo per sommi capi: l’energia ricavabile dai mari sotto le varie forme sarebbe addirittura potenzialmente sufficiente per soddisfare in toto il fabbisogno energetico mondiale. Il problema è quanta se ne riesce a ricavare in forma utile di questo patrimonio complessivo. Gli studi in questo senso sono stati al centro della ricerca nel corso degli anni e hanno definito potenzialità sufficientemente reali. Stando al Mediterraneo, dove le potenze disponibili rispetto all’oceano sono molto più basse, si sono individuate zone capaci di offrire massime potenze disponibili potenziali, localizzate tra la costa occidentale della Sardegna e la Corsica e nel canale di Sicilia. Qui si arriva a potenze medie annue di 10 kW per metro di costa. Un esempio specifico di un impianto per la conversione di questa energia potrebbe essere la diga foranea di un porto dotata di dispositivi Wave Energy Converter (WEC). Se ipotizziamo la sua lunghezza di mille metri, e se ponessimo di contare su un’efficienza molto bassa (10%) dopo tutti i passaggi di conversione e di perdite conseguenti, si potrebbe calcolare una produzione di energia paria circa 10 GWh l’anno. Passiamo ora all’idea di inserirla in una struttura o infrastruttura marittima comunque necessaria, come può essere la stessa diga foranea. Qui, entra in gioco la fattibilità in termini di costi. In contesti a bassa energia il costo di produzione confrontato ai ricavi attesi rende non sufficientemente vantaggiosa la realizzazione di impianti finalizzati alla sola produzione di energia. Per questo va pensato di installare l’impianto in un contesto dove si riesca a fare sinergia con la costruzione di opere comunque necessarie, come potrebbe essere la diga stessa, in modo da rendere i costi accessibili e decisamente vantaggiosi. Se poi ci aggiungiamo di inserire questa fonte energetica in un mix di rinnovabili il discorso diventa ancora più interessante.»
Veniamo infine all’evento di Ferrara. Che ruolo ha un’iniziativa come I-MaR e qual è l’obiettivo atteso?
«L’obiettivo di questa iniziativa, come di altre che stanno partendo in Italia, è creare unione tra le varie anime che studiano e sviluppano tecnologia in questo campo. L’interesse spazia ormai non solo nei contesti universitari ma è più ampio e trasversale, incontrando quello industriale. Eventi come I-MaR intendono favorire proprio l’incontro tra ricerca e impresa. I-MaR ha il vantaggio di rientrare in un contesto fieristico dove si tratta di tutto l’ecosistema che gravita intorno al mare, coinvolgendo coste e porti. Nel panorama europeo ci sono ambiti in cui si registra da tempo un positivo fermento in termini di attività di investimento anche condotte da piccole e medie imprese. Penso, per esempio, ai Paesi del Nord Europa. In Italia si è accesa una “fiammella” d’interesse tangibile, che speriamo possa rinfocolarsi grazie allo scambio e alla sinergia tra mondo produttivo e scientifico, propiziato da occasioni offerte anche dall’evento ferrarese. Sarà presente anche in teleconferenza il coordinatore dell’intero progetto MARINET2, Jerry Murphy, dell’Università irlandese di Cork».
Per l’Italia, oltre a ENEA che ha un ruolo importante e di profilo istituzionale, saranno presenti i responsabili di alcune soluzioni già testate e presenti realmente in mare:
- il dispositivo a tracimazione, installato al porto di Napoli, per lo sfruttamento dell’energia del moto ondoso (Università della Campania “Luigi Vanvitelli”);
- il prototipo del dispositivo REWEC3 installato al porto di Civitavecchia (Università di Reggio Calabria “Mediterranea”);
- ISWEC, un dispositivo inerziale per la conversione dell’energia del moto ondoso, installato nei mari di Pantelleria (Politecnico di Torino);
- WaveSAX, anch’esso dispositivo per la generazione d’energia elettrica dal moto ondoso sempre posizionato al Porto di Civitavecchia (RSE Ricerca sul Sistema Energetico, Milano);
- SYNCRES (SYNchronous REsonant Subharmonic), cassone cellulare in calcestruzzo armato per opere a parete verticale di difesa dal moto ondoso, con dispositivo adatto all'assorbimento del moto ondoso e alla produzione di energia (Università degli Studi di Roma "Tor Vergata”).