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Nature conferma: la fusione del permafrost genera nuovi gas serra

Continua il declino dell’Artico, la conferma arriva dallo studio internazionale a firma Ismar-Cnr e pubblicato su Nature

È un circolo vizioso, è tutto collegato ed ora lo conferma anche lo studio “Massive remobilization of permafrost carbon during post-glacial warming” pubblicato dalla prestigiosa rivista scientifica Nature.
Che i gas serra generati dall’attività antropica fossero la causa dell’innalzamento delle temperature e la seguente fusione dei ghiacci era ormai assodato, ciò che di preoccupante emerge dallo studio, invece, è la conferma che lo scioglimento del permafrost a sua volta rilascia nuovi gas serra intrappolati nel sottosuolo da migliaia di anni. L’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna (Ismar-Cnr) prendendo in esame carote di sedimento risalenti all’ultima glaciazione ha scoperto che il riscaldamento progressivo del suolo sta pian piano trasformando materiale inerte in un substrato per la decomposizione batterica che comporterà un rilascio in atmosfera di nuova CO2 e metano, i due gas serra maggiormente responsabili del cambiamento climatico.

È definito permafrost lo stato fisico del terreno che rimane al di sotto di 0°C di temperatura per almeno due anni consecutivi, esso è tipico del Nord del pianeta e la sua particolarità è, appunto, quella di essere costantemente ghiacciato. Si estende per circa il 20 % delle terre emerse (copre addirittura il 60% del territorio russo) e in Siberia raggiunge i 1500 metri di profondità. Questa parte di terreno congelata è compresa tra lo strato attivo e la roccia del sottosuolo. Lo strato attivo varia da pochi centimetri in Antartide e Artico a 7-8 metri sulle montagne (ad esempio sulle Alpi italiane), la variazione dipende soprattutto da tre fattori: la temperatura media estiva dell’aria, lo spessore del manto nevoso che ricopre il permafrost in estate e primavera e la radiazione solare. Il surriscaldamento globale tende a far aumentare sempre di più lo strato attivo innescando così la decomposizione batterica. Il carbonio intrappolato nel permafrost può essere considerato come una bomba ad orologeria per il clima, la comunità scientifica stima che sono intrappolate circa 1500 miliardi di tonnellate di carbonio, ben il doppio del volume che attualmente è presente in atmosfera.
Per questo la certezza di questo processo assume importanza rilevante: se non si agisce tempestivamente, il permafrost potrebbe rendere vani tutti i tentativi futuri di mitigazione del cambiamento climatico.

La situazione dei ghiacciai: l’Artico sta sempre peggio
I dati dell’ultimo rapporto 2016 della NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration, dipartimento della NASA) sullo stato dei ghiacciai del pianeta descrivono una situazione poco rassicurante. Il 2016 si avvia ormai alla conclusione con la sicurezza di diventare l’anno più caldo di sempre (strappando il record al 2015), nei mesi di ottobre e novembre l’estensione del ghiaccio marino del Polo Nord ha raggiunto il minimo storico. L’Artico continua a scaldarsi al doppio della velocità rispetto al resto del pianeta con temperature di 3,5°C sopra la media e se si pensa che l’Accordo di Parigi punta a mantenere l’aumento delle temperature al di sotto dei 2°C si percepisce ancora di più la gravità della situazione. Per il 2017 le previsioni non sono migliori, la comunità scientifica è quasi sicura di un “nuovo anno più caldo” che impedirà la formazione di ghiacciai con uno spessore tale da resistere alla stagione estiva.

Autore

Ivan Manzo

Ivan Manzo

Laureato in Economia dell'Ambiente e dello Sviluppo e giornalista per Giornalisti nell’Erba. Houston, we have a problem: #climatechange! La sfida è massimizzare il benessere collettivo attraverso la via della sostenibilità in modo da garantire pari benefici tra generazioni presenti e future. Credo che la buona informazione sia la chiave in grado di aprire la porta del cambiamento. Passioni: molte, forse troppe.

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