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La Cina dice no ai rifiuti dall’estero: problema per Europa e Stati Uniti

Si tratta di alcuni tipi di rifiuti di plastica e carta e arriva uno studio che mette in guardia sulle conseguenze. Guai anche per l’Italia.

È il riciclo una delle soluzioni offerte dal sistema economico, in particolare dal mondo dell’economia circolare, per una minore produzione di rifiuti. Ma cosa succede quando il Paese che più importa plastica da riciclare dall’estero decide di invertire la rotta? Lo stiamo testando proprio in questi mesi, e gli effetti si vedranno soprattutto nei prossimi, in seguito alla decisione del governo cinese di non voler più essere il paese leader per il riciclo di plastiche “altrui”. È quanto contenuto nella nuova legge “National Sword” approvata lo scorso anno e che prevede il divieto, in modo permanente, per l’importazione su territorio cinese di svariati tipi di rifiuti, molti di plastica.

Adesso, sulle possibili conseguenze, arriva uno studio confezionato da un gruppo di ricercatori dell’Università della Georgia e pubblicato su “Science Advances” dal titolo “The Chinese import ban and its impact on global plastic waste trade”.
Secondo il team, gli effetti della decisione avranno ripercussioni sul tutto il globo. Si calcola, infatti, che 111 milioni di tonnellate di materiale plastico, da qui al 2030, richiederanno nuove soluzioni da mettere in campo.
Una prassi che viene a mancare, se pensiamo che si tratta di un fatto ormai il consolidato. In generale, il trasferimento dai paesi ad alto reddito verso i paesi poveri e in via di sviluppo coinvolge più della metà dei rifiuti di plastica prodotti. Un fatto che potrebbe in parte spiegare il motivo per cui solo una quota esigua ogni anno di plastica viene riciclata.
“Dai nostri studi precedenti, sappiamo che solo il 9% di tutta la plastica prodotta è stata riciclata, e la maggior parte finisce nelle discariche o nell’ambiente naturale – dichiara l’autore dello studio Jenna Jambeck -. A causa del divieto di importazione, nel 2030 circa 111 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica finiranno da un’altra parte, quindi, se vogliamo trattare questa spazzatura responsabilmente, dovremo sviluppare programmi di riciclaggio più robusti a livello nazionale e ripensare l’utilizzo e la progettazione di prodotti in plastica”.

Nel mondo, dal 1993 le importazioni e le esportazioni di rifiuti di plastica sono cresciute tantissimo. Addirittura nel 2016 interessavano una mole pari all’800% di quella di inizi anni ’90.
Secondo i ricercatori da quando la situazione è stata monitorata – si hanno dati affidabili dal 1992 -, la Cina ha accolto circa 106 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, quasi la metà dell’intera esportazione globale: insieme ad Honk Kong, nel Paese del dragone sono stati importati più del 72% di tutti i rifiuti di plastica, provenienti in larga parte da zone ad alto Pil pro capite di Europa, America e Asia. Gli stessi Paesi che ora rischiano maggiormente. Perché, pur decidendo di dirottare altrove i propri rifiuti, “non esistono posti che possono garantire una quantità di riciclaggio pari alla Cina, e in molti non ci sono neanche le infrastrutture adatte a gestire i propri rifiuti, tanto meno quelli prodotti dal resto del mondo”, sostiene sempre Jambeck.

L’Italia e la carta da macero
Il nostro Paese esporta circa il 12% della sua plastica in Cina, ma il problema potrebbe essere un altro. Tra i materiali messi al bando dal 1 gennaio 2018, figura infatti pure un tipo particolare di carta da macero, a cui le industrie cinesi “ridavano vita” trasformandola in cartone per imballaggi e carta grafica. Fino ad ora l’Italia ne aveva esportato un terzo della propria produzione (parliamo solo nel 2016 di circa 1,9 milioni di tonnellate), non essendo in grado da sola di smaltire le quantità prodotte. Adesso gli impianti di recupero sono sotto stress, la capacità di stoccaggio è ad un punto massimo.
Urge una soluzione.

Autore

Ivan Manzo

Ivan Manzo

Laureato in Economia dell'Ambiente e dello Sviluppo e giornalista per Giornalisti nell’Erba. Houston, we have a problem: #climatechange! La sfida è massimizzare il benessere collettivo attraverso la via della sostenibilità in modo da garantire pari benefici tra generazioni presenti e future. Credo che la buona informazione sia la chiave in grado di aprire la porta del cambiamento. Passioni: molte, forse troppe.

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