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Lo studio EEA per una elettronica più duratura

Per ridurre gli impatti ambientali generati dai rifiuti elettronici, in costante crescita, bisogna progettare modelli riparabili e combattere l’obsolescenza programmata

Secondo il World Economic Forum ogni anno produciamo un numero maggiore di articoli elettronici legati a internet rispetto a quante siano le persone sul pianeta. La crescente domanda e offerta ha portato l'industria elettrica ed elettronica a svilupparsi come uno dei più grandi poli industriali del mondo, basti pensare che solo in Europa nel 2017 il settore ha impiegato oltre 2,5 milioni di persone divise in 86200 imprese, raggiungendo il fatturato record di 705 miliardi di euro.
Ma la produzione, l'uso e lo smaltimento dell'elettronica sono attività ad alta intensità di risorse che provocano impatti ambientali e climatici significativi. Come, dunque, limitare questi effetti negativi? Prova a rispondere alla domanda, fornendo soluzioni da mettere in campo, lo studio dell’European Environment Agency (EEA) dal titolo “Electronics and obsolescence in a circular economy”.

Nel 2017 le famiglie europee hanno dedicato in media il 5% della loro spesa totale in prodotti elettrici ed elettronici, e sono stati immessi sul mercato Ue 20,6 kg di questo materiale per ogni persona. Circa il 60% (11,8 kg) è stato prodotto all'interno dell'Unione, mentre il 40% (8,8 kg) è stato importato dall’estero.
La produzione di componenti elettroniche non conosce sosta, i volumi sono infatti costantemente aumentati negli ultimi anni, spinti non solo da una tendenza maggiore al consumo ma anche da tempi di vita più brevi e dall’obsolescenza programmata. In pratica, i rapidi sviluppi tecnologici implicano che i modelli diventino rapidamente obsoleti agli occhi dei consumatori, anche per via di un hardware non più compatibile con il software che si aggiorna periodicamente. Inoltre l'obsolescenza può essere indotta dal marketing che incoraggia sempre l'acquisto di nuovi modelli, nonostante siano solo leggermente migliori dei precedenti. Caso emblematico è dato da televisori (il 95% delle famiglie europee ne possiede almeno uno) e smartphone (ogni anno ne vengono venduti oltre 1,5 miliardi di pezzi nel mondo): i primi cambiati in media ogni 7 anni (nonostante alcuni siano stati progettati per durare fino a 25 anni), i secondi sostituiti dopo nemmeno 2 anni.
I casi di studio portati avanti dall’EEA su quattro diversi gruppi di prodotti elettronici (smartphone, televisori, lavatrici e aspirapolvere) mostrano che tutti hanno una durata media effettiva che è di almeno 2,3 anni inferiore alla durata prevista o desiderata.

Quando l'elettronica entra nella fase di fine vita, diventano rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE). Si tratta di uno dei flussi di rifiuti in più rapida crescita nel mondo, con un tasso di crescita annuale del 4% (pari a 44,7 milioni di tonnellate di rifiuti in più ogni anno).
In Europa la generazione di RAEE per il 2017 è stata di 10,4 milioni di tonnellate, leggermente superiore a 20 kg in media per abitante, e solo il 44% di questo volume è stato raccolto.
Al fine di ridurre al minimo gli impatti ambientali provenienti dal settore, l’EEA sottolinea che è importante mettere a sistema una serie di misure che alimentino il “business circolare”, e che aumentino sia la durata del prodotto e sia la possibilità di ripararlo. Misure che vanno dal rafforzamento dei requisiti di progettazione ecocompatibile, allo sviluppo e l'uso dell'etichetta energetica Ue per aiutare il processo decisionale da parte dei consumatori; dall'estensione della responsabilità del produttore a fine vita come incentivo chiave verso la "produzione per circolarità", all’introduzione di un passaporto elettronico del prodotto per fornire informazioni sull'origine, la composizione e le possibilità di riparazione, nonché sulla sua possibile gestione a fine vita.

Autore

Ivan Manzo

Ivan Manzo

Laureato in Economia dell'Ambiente e dello Sviluppo e giornalista per Giornalisti nell’Erba. Houston, we have a problem: #climatechange! La sfida è massimizzare il benessere collettivo attraverso la via della sostenibilità in modo da garantire pari benefici tra generazioni presenti e future. Credo che la buona informazione sia la chiave in grado di aprire la porta del cambiamento. Passioni: molte, forse troppe.

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