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L'Europa decide sul Glifosato

Cresce l'attesa per la decisione UE sul rinnovo a 10 anni dell'uso del diserbante più diffuso al mondo

È nella pasta e nel pane, sui cerali, nella birra e nelle farine, ma anche nei fiumi e nei boschi.
Si trovano tracce di glifosato ovunque e, da mesi, il famoso erbicida è oggetto di discussione in Europa. L’UE deve decidere, infatti, se rinnovare o meno l’uso su suolo europeo di tutti i prodotti che lo contengono per i prossimi 10 anni (da qui al 2027).
Approvato per la prima volta dalla Commissione Europea nel 2002, è dal 2015 che viene di volta in volta rinviata una nuova decisione.
Tra le tappe più importanti da ricordare, quella di febbraio 2016 dove il Parlamento chiedeva alla Commissione di vietare tre varietà di soia geneticamente modificate usate in accoppiata con il glifosato, e quella del giugno 2016, in cui Bruxelles prorogava l’uso del diserbante fino al 31 dicembre 2017 ormai alle porte.
Nonostante “l’Iniziativa dei Cittadini Europei Stop Gliphosate”, massiccia campagna firmataria partita dal basso che ha portato oltre 1 milione e 300 mila persone ad invocare la messa al bando dell’erbicida, l’Europa sembra orientata a concedere ancora una volta il rinnovo. “La Commissione Europea sembra intenzionata ad accelerare i tempi sulla decisione in merito all’autorizzazione alla produzione, commercializzazione ed uso di tutti i prodotti fitosanitari a base di glifosato nei paesi europei”, afferma la Coalizione Stop Glifosato che al suo interno annovera 45 associazioni italiane di settore.
Il voto decisivo dovrebbe tenersi in autunno e la decisione sarà presa su base maggioritaria: 16 Stati su 28 devono dichiararsi favorevoli al rinnovo.
Intanto anche la California inserisce il glifosato nella lista dei prodotti cancerogeni: adesso nelle etichette dovranno essere riportati gli avvertimenti per la salute.

Il prodotto di punta della Monsanto
È il principale componente del Roundup, il più importante prodotto del colosso dell’agromichimica USA, la Monsanto. Usato da più di quarant’anni, oggi il glifosato è presente in 130 Paesi e in più di 750 prodotti sul mercato.
Due i motivi per cui è esploso l’utilizzo. La possibilità di venderlo in accoppiata a piante geneticamente modificate e la scadenza dei diritti di brevetto nel 2000 che ne hanno favorito la produzione ad opera di altre società. Si è così passati dalle circa 3 mila tonnellate prodotte nel 1974 alle oltre 825 mila del 2014. Per la Monsanto il giro d’affari che ruota intorno al Roundup vale circa 8,8 miliardi di dollari.
Nonostante fosse da diverso tempo oggetto di critiche, è negli ultimi 2 anni che s'intensifica la pressione mediatica sulla Monsanto.
Da quando, precisamente, l’organo indipendente delle Nazioni Unite che fa capo all’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità) con il compito di individuare e catalogare le sostanze cancerogene, lo IARC (l’Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro), lo definisce genotossico. Nel rapporto si legge che il glifosato è in grado di danneggiare il DNA: è cancerogeno per gli animali e probabilmente cancerogeno per gli essere umani.
Ma è scontro tra istituzioni per quanto riguarda la valutazione. Quella dell’EFSA (in pratica l’Agenzia che decide cosa noi europei possiamo o non possiamo mangiare) del novembre 2015, infatti, contraddiceva questa conclusione - “Il glifosato è improbabile che sia cancerogeno” - portandosi dietro un mare di polemiche. Come quella del tossicologo Peter Clausing che accusa l’istituzione europea di aver violato le stesse normative comunitarie in materia di valutazione degli studi.

Una recente inchiesta di “Le Monde”, riportata in questi giorni sulle pagine della rivista italiana “Internazionale”, mostra come la Monsanto non sia stata certo a guardare di fronte alle accuse mosse dallo IARC. “In passato siamo stati già attaccati e calunniati ma questa volta siamo al centro di un’offensiva senza precedenti per portata e durata”, ha dichiarato il direttore dello IARC Christopher Wild. Secondo l’inchiesta, la Monsanto oltre ad aver definito “junk science” (scienza spazzatura) il lavoro dei ricercatori IARC, si è adoperata anche in attività di pressione per la revoca dei fondi statali, motore del funzionamento dell’istituzione. Inoltre, i suoi studi legali si sono mossi per rendere la vita difficile agli autori del report, cercando di minare sia la loro libertà professionale che la credibilità dei lavori. 

In un’Europa che dice di volersi ispirare al Principio di Precauzione, proprio quello che esclude l’uso di prodotti fino a quando non vi sia la piena certezza scientifica degli effetti sull’ambiente e sulla salute umana, bisognerebbe almeno tenere in considerazione la valutazione fatta dall’istituto indipendente delle Nazioni Unite. Perché al glifosato non si sfugge, come dimostrano anche due recenti test effettuati in Italia e in Europa. Un paio di mesi fa 14 donne gravide italiane sono risultate tutte positive al glifosato. E lo stesso esito è toccato ai 49 parlamentari europei (provenienti da diversi Stati UE) che si sono sottoposti al test lo scorso anno: il 100% era contaminato dal diserbante.

Autore

Ivan Manzo

Ivan Manzo

Laureato in Economia dell'Ambiente e dello Sviluppo e giornalista per Giornalisti nell’Erba. Houston, we have a problem: #climatechange! La sfida è massimizzare il benessere collettivo attraverso la via della sostenibilità in modo da garantire pari benefici tra generazioni presenti e future. Credo che la buona informazione sia la chiave in grado di aprire la porta del cambiamento. Passioni: molte, forse troppe.

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