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COP 22: mondo unito ma bisogna accelerare

Si è da qualche giorno conclusa la Conferenza ONU sui Cambiamenti Climatici tenutasi, per questa edizione, a Marrakech

Presentata come la “COP dell’azione” a margine della Conferenza ONU sui Cambiamenti Climatici tenutasi a Marrakech, la prima dopo l’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi siglato lo scorso dicembre, invece, non è riuscita a mantenere del tutto le premesse.
La comunità internazionale, spiazzata dalla velocità con cui il Paris Agreement è entrato in vigore (nessuno si aspettava che in soli 11 mesi un accordo che vede impegnato il mondo intero potesse “diventare legge”), è stata colta un po’ alla sprovvista. Se questo, però, ha da una parte fatto arrivare impreparate le parti, dall’altra, ha lanciato un segnale forte all’opinione pubblica confermando la volontà di mettere in pratica azioni di contrasto al cambiamento climatico. Altra variabile che, inutile nasconderlo, ha influenzato l’aria che si respirava tra i padiglioni marocchini, è stata l’elezione del nuovo Presidente americano.

Trump, schierato tra le file dei negazionisti del cambiamento climatico, è stato tra i principali argomenti di dibattito, l’incertezza del futuro di cui tutti avrebbero fatto volentieri a meno. Per questo motivo, tra le Conferenze più attese, c’era quella del Sottosegretario americano John Kerry.

Kerry, durante il suo discorso, ha descritto bene la situazione climatica fotografata attraverso i suoi lunghi viaggi intorno al mondo e ha confermato la voglia degli USA di fare “tutto ciò che serve” sia ora in qualità di governo e sia da gennaio come opposizione democratica pur ammettendo che “il tempo non è dalla nostra parte”. Anche a Ban Ki-Moon (Segretario Generale ONU) è toccato parlare di Trump: “ho parlato con Trump di cambiamento climatico, rimango ottimista sui nostri sforzi, l’unità nata con il Paris Agreement è infermabile. Non abbiamo un altro pianeta, non c’è un piano B”. Ma in sostanza, di cosa si è discusso maggiormente e cosa si è stabilito durante questa tornata negoziale? Andiamo per ordine.

Il nodo dei negoziati

È una questione di soldi. Al momento solo le briciole dei 100 miliardi di dollari previsti al 2020 sono arrivate ai Paesi più poveri (i Paesi del G7 + l’Australia hanno versato 3,4 miliardi di dollari annui, i sussidi diretti alle fonti fossili, invece, ammontano a 67 miliardi di dollari) che spesso coincidono con quelli più vulnerabili. Oltre a questo c’è poi l’importante faccenda di come questi fondi debbano essere suddivisi.

L’azione climatica si basa su adattamento e mitigazione. Dei soldi pubblici previsti, in questo momento, “solo” il 20% è destinato all’adattamento ma l’aumento della temperatura già mette in ginocchio molti Paesi che sono per forza costretti ad adattare i loro territori: per questo chiedono un ribilanciamento dei fondi, per questo chiedono che l’adattamento arrivi a pesare almeno per il 40% del totale. L’azione climatica più efficace e anche profittevole, però, è quella relativa alla mitigazione, motivo per il quale i Paesi industrializzati sembrano avere una posizione di attesa sulla richiesta. All’incertezza dei finanziamenti va poi aggiunta anche quella metodologica: cosa è e cosa non è adattamento? Quale disastro ambientale è stato realmente causato dal climate change? Definire parametri chiari e non interpretabili per la valutazione è alla base di questo genere di trattive.

Cosa emerge dai documenti di COP 22

Non c’è un titolo da prima pagina come avvenuto per Parigi ma un piccolo passo in avanti è comunque stato fatto. L’obiettivo dei negoziatori era quello di fornire un calendario chiaro ed efficace per non arrivare impreparati al dialogo facilitativo del 2018, momento in cui verranno ridiscussi gli impegni di riduzione delle emissioni gas serra dei singoli Stati presentati a Parigi e che già sappiamo non essere abbastanza (con questi NDCs infatti si prevede un aumento di circa 3° rispetto ai livelli preindustriali del 1880). L’agenda da qui alla COP 24 del 2018 deve portare le parti a discutere di governance, accordi istituzionali, salvaguardia e modalità operative del fondo per l’adattamento. Il primo appuntamento è fissato per il 31 marzo 2017.

I segnali politici: il mondo andrà avanti

Importanti le dichiarazioni avanzate dal Marocco a conferma dell’irreversibilità del processo avviato, che fanno riferimento, pur senza mai nominarlo, al nuovo Presidente degli Stati Uniti. Va in questa direzione la “Marrakech Action Proclamation”, definita dal Presidente di COP 22, Mezouar, come il segnale che il processo avviato è diventato ormai infermabile. La Proclamazione ribadisce la priorità che gli Stati daranno all’azione e all’implementazione di politiche climatiche in concomitanza agli aiuti da destinare ai Paesi vulnerabili e meno sviluppati. “La comunità internazionale combatte per l’avvenire del pianeta, l’avvenire dell’umanità, per la dignità di milioni e milioni di persone. La nostra capacità collettiva alla mobilizzazione, tutte queste dimostrazioni dell’insieme di tutti i paesi, dell’insieme di tutte le comunità che agiscono nel mondo, ci indica chiaramente che si deve continuare il cammino” afferma Mezouar. Da non sottovalutare è anche la “Marrakech Partnership for Global Climate Action”. Nata per supportare l’impegno politico, oltre ai Governi, trova tra i suoi firmatari anche Organizzazioni Internazionali e iniziative di privati che mettono sul piatto impegni finanziari per azioni concrete: dalla diffusione delle energie rinnovabili, alla green economy africana, dai progetti di mitigazione ed adattamento alla promozione dello sviluppo sostenibile.

Questa volta, forse, non ci si poteva aspettare di più dalla comunità internazionale che ha più volte ribadito di essere unita nella lotta al cambiamento climatico che nel frattempo continua a far schizzare le temperature verso l’alto infrangendo record su record. COP 22 è una conferma, tutto è cambiato grazie al Paris Agreement, si va avanti, c’è l’accordo politico: ora però tocca a quello con il clima.

Autore

Ivan Manzo

Ivan Manzo

Laureato in Economia dell'Ambiente e dello Sviluppo e giornalista per Giornalisti nell’Erba. Houston, we have a problem: #climatechange! La sfida è massimizzare il benessere collettivo attraverso la via della sostenibilità in modo da garantire pari benefici tra generazioni presenti e future. Credo che la buona informazione sia la chiave in grado di aprire la porta del cambiamento. Passioni: molte, forse troppe.

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