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Acqua come business

Continua a crescere il consumo di acqua in bottiglia nel nostro Paese nonostante l’ottima qualità dell’acqua del rubinetto

Dovrebbe essere un diritto per tutti ma, sempre più spesso, assistiamo a casi dove l’elemento fondamentale per la vita, l’acqua, diventa una semplice risorsa da cui trarre profitto. Una gestione privata a vantaggio di pochi, a discapito dell’ambiente e dei cittadini.
Tra questi, rientra pienamente quello italiano, come evidenziato dal dossier “Acque in bottiglia. Un’anomalia tutta italiana” presentato da Altreconomia e l’associazione ambientalista Legambiente.
L’Italia, nella classifica di consumo di acqua in bottiglia pro-capite, si conferma prima in Europa e seconda al mondo dietro soltanto al Messico, nonostante l’ottima qualità, in media, dell’acqua che fuoriesce dai nostri rubinetti.
Un consumo che continua a crescere di anno in anno, con una produzione che oscilla tra i 7 e gli 8 miliardi di bottiglie e che vede il 90% dell’acqua imbottigliata in Italia restare dentro i confini.
Un mercato importante, dunque, capace di alimentare un giro di affari stimato intorno ai 10 miliardi di euro l’anno (in totale) e che vale, per le sole industrie imbottigliatrici, circa 2,8 miliardi.
Un mercato da cui, però, traggono vantaggio soltanto le grandi industrie: a fronte del volume d’affari solo le briciole arrivano allo Stato, colpevole di una tassazione permissiva, con canoni di concessione troppo favorevoli. Le aziende infatti pagano canoni che raggiungono al massimo i 2 millesimi di euro al litro (un costo di 250 volte inferiore rispetto al prezzo medio di vendita dell’acqua in bottiglia).

“I dati riportati nel rapporto evidenziano come in Italia l’acqua in bottiglia garantisca ancora oggi un business miliardario, in costante aumento negli ultimi anni, così come i consumi – dichiara Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente -. Alla base del record tutto italiano il falso mito che sia migliore e più controllata di quella del nostro rubinetto e soprattutto un costo della materia prima (l’acqua), per chi imbottiglia, praticamente nullo: una media di appena 1 millesimo di euro per ciascun litro imbottigliato. Per questo proponiamo di applicare un canone minimo a livello nazionale di almeno 20 euro al metro cubo, cioè 2 centesimi di euro al litro imbottigliato. Un canone comunque irrisorio, ma già dieci volte superiore a quello attuale e che permetterebbe alle Regioni di incrementare gli introiti di almeno 280 milioni di euro l’anno, da reinvestire in politiche e interventi in favore dell’acqua di rubinetto e per la tutela di della risorsa idrica, oggi messa a dura prova anche dai cambiamenti climatici e dalle continue emergenze siccità”.

Nel nostro Paese esistono ben 260 marchi di 140 stabilimenti diversi che imbottigliano oltre 14 miliardi di litri per garantire il consumo pro-capite pari a circa 206 litri annui.
Negli ultimi decenni le industrie del settore sono state in grado, attraverso campagne pubblicitarie di successo, di diffondere la cultura sbagliata di un’acqua in bottiglia più pura di quella del rubinetto. Un’idea che ha finito per condizionare, in modo negativo, la produzione di altri materiali dannosi all’ambiente. Uno su tutti, l’inevitabile aumento dei rifiuti di plastica (il 90-95% delle acque viene imbottigliato in contenitori di plastica e il 5-10% in contenitori in vetro).
Senza contare, poi, le emissioni inquinanti e di gas climalteranti prodotte per il trasporto di milioni di casse su e giù per la Penisola.

Autore

Ivan Manzo

Ivan Manzo

Laureato in Economia dell'Ambiente e dello Sviluppo e giornalista per Giornalisti nell’Erba. Houston, we have a problem: #climatechange! La sfida è massimizzare il benessere collettivo attraverso la via della sostenibilità in modo da garantire pari benefici tra generazioni presenti e future. Credo che la buona informazione sia la chiave in grado di aprire la porta del cambiamento. Passioni: molte, forse troppe.

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