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Pruitt si dimette, i danni restano

L’ormai ex capo dell’EPA ha dato le dimissioni per via di alcuni scandali che l’hanno coinvolto. Si contano ora i danni del suo dicastero

Scott Pruitt si è dimesso. Il fedelissimo di Donald Trump, a capo dell’EPA - l’Agenzia per la protezione ambientale statunitense (equivalente del nostro Ministero per l’Ambiente) – dall’inizio della legislatura repubblicana, ha rassegnato le proprie dimissioni in seguito a scandali legati a corruzione e spese folli. L’accusa per l’ex avvocato è di avere utilizzato fondi pubblici a proprio uso e consumo, ne sono un esempio i 105 mila dollari spesi per voli in prima classe nel solo primo anno di legislatura, e l’acquisto di beni superflui per i suoi uffici. Inoltre, è accusato pure di aver fatto diversi favori ai lobbysti del fossile, settore che interessa da vicino il dicastero da lui fino ad ora amministrato.
“È difficile smettere di servirti in questo ruolo”, ha scritto nella lettera di dimissioni indirizzata al presidente americano, “ma gli attacchi sulla mia persone e la mia famiglia sono senza precedenti, e pesano su tutti noi”.
Trump che, tramite twitter, ha ringraziato Pruitt per il lavoro svolto definendolo “eccellente”, e ha annunciato Andrew Wheeler prossimo direttore (già bollato “inadatto al ruolo” dal mondo ambientalista a stelle e strisce).
Ma è stato davvero “eccellente” il lavoro svolto da Pruitt? I fatti dicono altro: la sua è stata un’amministrazione sempre a favore della deregulation ambientale, contro le poche norme difficilmente messe in piedi dal suo predecessore, e più a difesa dell’interesse dei pochi che di quello collettivo.

Dalla “fine della guerra al carbone” alla revoca del bando a diversi pesticidi
Ciò che rimane di questi due anni è un’agenzia depotenziata, meno capace e influente di proteggere – ma anche di “preoccuparsi”, proprio dal punto di vista legislativo – la salute ed il benessere pubblico. E meno forte pure mediaticamente, non più in grado di diffondere le verità scientifiche sulle relazioni che legano politiche decisionali e salute dei cittadini. Basti pensare che il primo segnale lo si era avuto pochi secondi dopo l’insediamento di Trump del 20 gennaio del 2017, quando a farne le spese era stato il link di riferimento della Casa Bianca sui cambiamenti climatici: “page not found”, sito e, dunque, riscontro scientifico oscurato.
Un oscurantismo continuato anche nelle parole del repubblicano che più volte in questi mesi ha dichiarato, anche di fronte al congresso statunitense, il suo scetticismo e la sua diffidenza nei confronti della scienza del clima e delle connessioni tra gas climalteranti e riscaldamento globale. Un periodo che ha contribuito all’impoverimento culturale sul tema.
Poco dopo, il 28 marzo 2017, Pruitt mise le mani sul Clean Power Plan, cancellando quello che era il fiore all’occhiello della battaglia climatica USA per limitare le emissioni climalteranti, in particolare quelle provenienti dalle centrali elettriche alimentate a carbone. Provvedimento salutato da Trump con la frase “finalmente mettiamo fine alla guerra contro il carbone”.
Inoltre, sarà ricordato per aver cercato di agevolare gli interessi delle compagnie petrolifere, e per aver negato diverse ricerche che dimostravano l’esistenza di legami tra inquinamento e guai per la salute. Ed anche in provvedimenti andavano in questo senso. Come la decisione di (ri)alzare i limiti delle emissioni inquinanti per le autovetture, e proprio nel periodo in cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità invece ammoniva: “il 92% della popolazione mondiale vive in zone dove l’aria è contaminata da livelli di smog al di sopra della soglia consentita”.
Ma si è occupato anche di impianti chimici, proponendone regole più permissive. Ha tolto, ad esempio, il divieto presente su un pesticida risultato dannoso per lo sviluppo in età infantile – bandito pochi anni prima -, il clorpirifos, dopo essere stato influenzato, sostiene la stampa di casa, dalla Dow Chemical, l’azienda produttrice del pesticida dal nome commerciale Lorsban.
Stesso discorso per regole a tutela della qualità dell’acqua, modificate e rese meno stringenti per chi, dell’inquinamento, ne ha fatto un vero e proprio business.

Queste, dunque, alcune delle iniziative prese dall’ex capo EPA in un anno e mezzo. Un periodo dove, tra l’altro, proprio gli Stati Uniti venivano messi a dura prova dall’intensificarsi degli eventi estremi, riconducibili al cambiamento climatico.
Servivano politiche che andavano in tutt’altra direzione. Pruitt, invece, ha pensato bene di portare gli USA pure fuori dall’Accordo di Parigi. Scelte sbagliate e che, purtroppo, rischiano di avere delle (serie) ripercussioni. Non solo per gli statunitensi.

Autore

Ivan Manzo

Ivan Manzo

Laureato in Economia dell'Ambiente e dello Sviluppo e giornalista per Giornalisti nell’Erba. Houston, we have a problem: #climatechange! La sfida è massimizzare il benessere collettivo attraverso la via della sostenibilità in modo da garantire pari benefici tra generazioni presenti e future. Credo che la buona informazione sia la chiave in grado di aprire la porta del cambiamento. Passioni: molte, forse troppe.

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