Sergio Ferraris, nato a Vercelli nel 1960 è giornalista professionista e scrive di scienza, tecnologia, energia e ambiente. È direttore della rivista QualEnergia, del portale QualEnergia.it e rubrichista del mensile di Legambiente La Nuova Ecologia. Ha curato oltre cinquanta documentari, per il canale di Rai Educational Explora la Tv delle scienze. Collabora con svariate testate sia specializzate, sia generaliste. Recentemente ha riscoperto la propria passione per la motocicletta ed è divenatato felice possessore di una Moto Guzzi Le Mans III del 1983. Il sito web di Sergio Ferraris, giornalista scientifico.
La plastica è poco bio
La plastica anche se bio non ha pace. Mentre il 2018 appena passato è stato l'anno che ha puntato l'indice verso le plastiche d'origine fossile con campagne e mobilitazioni in ogni parte del globo e con studi che hanno dimostrato la pervasività delle plastiche nell'ambiente anche quando spariscono dalla vista e si credono distrutte, ora arriva l'allarme sulle bioplastiche. Il ricorso intensivo alle nuove plastiche d'origine bio, infatti, potrebbe portare a un aumento dei gas serra presente in atmosfera. L'allarme arriva da un nuovo studio, pubblicato dall'Universitá di Bonn, secondo il quale lo spostamento verso plastiche basate sulle molecole naturali delle piante potrebbe avere effetti meno positivi di quanto si creda.
Le bioplastiche, infatti, sono di base neutrali dal punto di vista dell'impatto sul clima, visto che sono prodotte con materiali grezzi, naturali e rinnovabili, come mais, grano o canna da zucchero e contengono la CO2 "sequestrata" durante la fase di sviluppo dei vegetali.
Ma un loro utilizzo su larga scala potrebbe riproporre i problemi giá osservati con i biocombustibili: «Ci potrebbe essere un aumento della conversione delle zone forestali in terreni agricoli. Ma - spiega Neus Escobar, uno dei ricercatori che ha svolto l'indagine - le foreste assorbono nettamente piú CO2 delle piantagioni di mais o di zucchero di canna».
Insomma con la sostituzione delle varietà vegetali forestali naturali con quelle adatte alla produzione di bioplastiche si avrebbe un deficit importate nell'assorbimento della CO2 che già oggi con l'acidificazione degli oceani mostra la corda.
«Allo stesso tempo, - prosegue Escobar - alcune bioplastiche come le Bio-PE o le Bio-PET non sono biodegradabili, esattamente come le controparti basate sul petrolio».
Per cui rappresenterebbero l'ennesima fonte d'inquinamento d'origine antropica verso la biosfera.
La conclusione dei ricercatori è che, allo stato delle conoscenze attuali, la soluzione migliore sarebbe che i Governi e i mercati di tutto il mondo si impegnassero maggiormente verso il ricorso limitato alla plastica, insieme ad un riciclo quasi completo. Allo stato attuale, secondo l'Ocse solo il 15% dei rifiuti di plastica viene riciclato in tutto il mondo, mentre il 25% viene bruciato negli inceneritori e il restante 60% va in discarica, viene bruciato all'aperto o finisce nell'ambiente.