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L'archivio, inquinato, del ghiaccio

Dalle analisi dei ghiacciai alpini che si sciolgono a causa dei cambiamenti climatici emerge l'inquinamento. Anche radioattivo

Il ghiaccio, come si sa conserva. Ne sanno qualcosa i ricercatori antartici che riescono a ricostruire il clima del nostro Pianeta con certezza fino a 800mila anni fa, trovando le prove circa il fatto che quello atto è il cambiamento climatico più importante a quella data. E proprio a causa dei cambiamenti climatici che stanno sciogliendo i ghiacciai alpini, i quali hanno perso il 50% della superficie negli ultimi cento anni, stanno emergendo delle sorprese. Conservate sotto il ghiaccio dei ghiacciai alpini, infatti, ci sono sostanze radioattive prodotte da test e incidenti nucleari come cesio-137, americio-241 e bismuto-207 che dopo essere stati deposti al suolo dalla la neve possono essere conservati per decenni nei ghiacciai che oggi si stanno sciogliendo.  Lo hanno dimostrato le misure effettuate sul ghiacciaio svizzero del Morteratsch dagli scienziati italiani che hanno utilizzato dei sedimenti chiamati crioconiti come test per le analisi del ghiaccio. La ricerca è stata condotta dagli scienziati dei Dipartimenti di Scienze dell'ambiente e della terra e di Fisica dell'Università di Milano-Bicocca, dell'Istituto nazionale di fisica nucleare, dell'Università di Genova e del Laboratorio per l'energia nucleare applicata (Lena) dell'Università di Pavia, ed è pubblicata sulla rivista 'Scientific Reports'.

Le coppette crioconitiche sono dei piccoli depositi di sedimenti scuri tipiche dei ghiacci di tutto il globo che oltre alle sostanze radioattive assorbono anche i metalli pesanti come zinco, arsenico e mercurio e che si formano nelle regioni dei ghiacciai soggette alla fusione e la loro formazione è dovuta all'interazione fra il materiale di origine minerale e la sostanza organica. E sono in grado d'assorbire, e fissare al loro interno per molto tempo, varie sostanze e impurità come se fossero delle vere e proprie spugne.

Con la progressiva fusione dei ghiacciai, le sostanze immobilizzate da anni o da decenni sono rilasciate nell'ambiente circostante attraverso l'acqua di fusione, ma le sostanze nocive raggiungono concentrazioni significative solo all'interno delle singole coppette crioconitiche e quando il ghiaccio fonde e le sostanze presenti all'interno della crioconite sono rilasciate nell'ambiente, insieme all'acqua di fusione, quest'ultime sono molto diluite per cui non rappresentano un rischio per la salute.

«Questo lavoro dimostra la capacità della crioconite di trattenere inquinanti di origine atmosferica con estrema efficienza - spiega Giovanni Baccolo, dottore di ricerca che collabora con i gruppi di Glaciologia e Radioattività dell'Università di Milano-Bicocca - incluse sostanze molto rare come i nuclidi radioattivi prodotti durante i test nucleari degli anni Sessanta. Considerando il perenne stato di ritiro dei ghiacciai alpini, questa ricerca è di grande interesse perché tutto ciò che è rimasto 'intrappolato' nei ghiacciai negli ultimi decenni sarà presto rilasciato nell'ambiente».

Quanto all'eccesso di metalli pesanti, secondo i ricercatori, le concentrazioni fanno pensare a un contributo umano derivante da industrie e trasporti, accumulatosi sui ghiacciai nel corso degli ultimi decenni. Mentre tra le sostanze radioattive trovate alcune sono di origine naturale, come torio, uranio e potassio e altre d'origine antropica cosa che è legata esclusivamente ad attività umane, ovvero i test nucleari e gli incidenti alle centrali atomiche come quelli di Fukushima e Chernobyl che hanno raggiunto anche le nostre latitudini.

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Autore

Sergio Ferraris

Sergio Ferraris

Sergio Ferraris, nato a Vercelli nel 1960 è giornalista professionista e scrive di scienza, tecnologia, energia e ambiente. È direttore della rivista QualEnergia, del portale QualEnergia.it e rubrichista del mensile di Legambiente La Nuova Ecologia. Ha curato oltre cinquanta documentari, per il canale di Rai Educational Explora la Tv delle scienze. Collabora con svariate testate sia specializzate, sia generaliste. Recentemente ha riscoperto la propria passione per la motocicletta ed è divenatato felice possessore di una Moto Guzzi Le Mans III del 1983. Il sito web di Sergio Ferraris, giornalista scientifico. 

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