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Cemento, tra presente in calo e futuro più green

La produzione di cemento cala in Italia, cresce però l’efficienza degli impianti e gli investimenti in sostenibilità e diventa cruciale il ruolo della ricerca

Il cemento è il materiale più usato al mondo dopo l’acqua. Il primo, però, è spesso usato come termine dispregiativo per considerare l’eccessiva edificazione: “cementificazione”, infatti, è sinonimo  di consumo di suolo. Eppure questo materiale edile, conosciuto e sperimentato da più di duemila anni, nato dal genio degli antichi Romani, oggi va incontro a un futuro fatto da una sempre maggiore attenzione alla sostenibilità. Prova ne è quanto riportato nell’ultima relazione annuale Aitec (Associazione italiana tecnico economica cemento), da poco pubblicata e riferita al 2016 dove si evidenziano gli sforzi dell’industria di settore.

Sostenibilità, lo sforzo dell’industria italiana del cemento

Si legge questa tendenza alla maggiore sostenibilità ambientale a partire dall’efficienza energetica degli impianti produttivi italiani, il cui fabbisogno medio è risultato pari a 117 KWh per tonnellata di cemento prodotto, un valore in miglioramento rispetto ai 122Kwh registrati nel 2015. Si legge inoltre che:

“L’industria italiana del cemento si è impegnata a realizzare investimenti volti a minimizzare l’impatto ambientale dei processi produttivi, impegno che non è venuto meno (275 milioni di euro negli ultimi sei anni) nonostante la situazione congiunturale che ha portato la produzione dai 43 milioni di tonnellate del 2008 ai 19,3 milioni registrati nel 2016.”

Cemento, produzione e import/export

Il presente, almeno in Italia non è certo roseo per il cemento. La produzione 2016, pari a 19,3 milioni di tonnellate, risulta in calo del 7,2% rispetto al 2015. Prosegue, quindi, la tendenza in negativo come segnala Aitec nel proprio rapporto:

“Se nel 2015 il trend dei consumi di cemento aveva riscontrato un notevole ridimensionamento della propria dinamica negativa, nel 2016 i consumi sono tornati a diminuire sensibilmente registrando un decremento del 4,8 per cento attestandosi a 18,6 milioni di tonnellate.”

Alla base del segno meno c’è il cattivo andamento del comparto residenziale delle costruzioni. L’aumento degli investimenti in costruzioni (+0,3%) non è sufficiente a bilanciare il calo evidenziato in nuove abitazioni (-3,4% rispetto al 2015), certificata dalla sensibile contrazione dei permessi di costruzione. “Per il 2015 l’Ance ha stimato il rilascio di 47.500 nuovi permessi che, se confrontati con il picco del 2005 (oltre 300mila), evidenziano una caduta dell’84,5 per cento”, rilevano gli analisti Aitec.

Le prospettive per il 2017 sono improntate, però, a un cauto ottimismo. I motivi per stimare in miglioramento la situazione sono legati al consolidamento della crescita economica dell’Italia, insieme al superamento delle difficoltà relative all’applicazione del rinnovato codice degli appalti, che “dovrebbero favorire l’espansione degli investimenti pubblici, cruciali per la ripartenza del settore”, si segnala nello stesso rapporto.

Per quanto rigurda gli interscambi con l’estero, la situazione invece induce a un certo ottimismo. Anche nel 2016 il nostro Paese ha confermato il proprio ruolo di esportatore di cemento e clinker. “Verso l’estero sono andate quasi 1,9 milioni di tonnellate di prodotto, in netto calo rispetto al 2015, ma sufficienti a garantire un interscambio positivo con l’estero di circa 650mila tonnellate”. Per quanto riguarda le importazioni sono diminuite del 2%, arrivando a circa 1,2 milioni di tonnellate.

Per quanto riguarda il clinker, nel 2016, l’Italia presenta un interscambio equilibrato tra import ed export (292mila tonnellate ugualmente in entrata e in uscita) con le importazioni in calo del 30% rispetto al 2015.

Il futuro è verde, grazie a ricerca e innovazione

Che futuro attende il cemento? Deve guardare al futuro, ma anche al suo passato. O, meglio, dalla sua storia: una ricerca condotta da Marie Jackson, geologa dell’Università dello Utah, e pubblicata proprio in questi giorni, segnala che è bene guardare alla formula messa a punto dagli antichi Romani. La docente statunitense sottolinea i vantaggi di durata del calcestruzzo romano e si domanda perché non viene utilizzato più spesso la formula antica, soprattutto a fronte del fatto che  la produzione di cemento Portland produce notevoli emissioni di CO2?

Non solo: il suo studio evidenzia che mentre le moderne costruzioni in calcestruzzo marino si sbriciolano dopo pochi decenni, i pilastri romani e i frangiflutti di duemila anni sopportano ancora oggi e risultano più forti di quando sono stati costruiti.

In ogni caso, dal punto di vista tecnologico oggi la ricerca è molto avanzata : lo segnala, nel libro “Cemento futuro”, Carmen Andriani, docente del dipartimento di Architettura e design dell’Università di Genova, che porta numerose testimonianze oltre ai brevetti di ultima generazione:

  • il biodinamico fotocatalico con cui è stata realizzata nel 2015 la struttura del Padiglione Italiano;
  • il “cemento trasparente” – i.light – impiegato all’EXPO di Shanghai del 2010;
  • l'“eco calcestruzzo” i.crete system, utilizzato per la struttura della Beekman Tower di Gehry a New York, in grado di abbattere del 40% le emissioni gas serra.

Ci sono poi i calcestruzzi innovativi, o cementi fibrorinforzati, utilizzati da Ricciotti nelle sue architetture, quali l’UHPC (Ultra Light Performance Concrete), e i prodotti con materiali riciclati, esempi tipici di economia circolare, mediante i quali, segnala l’autrice è possibile

“comprendere come le nuove sfide del mondo delle costruzioni riguardano la riduzione dell’uso di materie prime, la diminuzione dei consumi di energia ed acqua, la riduzione dell’impatto ambientale e sociale nelle attività di cantiere.”

La via da percorrere deve guardare a modelli di questo tipo: considerando, a esempio, i cementi fibrorinforzati, Andriani sottolinea i loro pregi: garantiscono una resistenza a compressione paragonabile a quella dell’acciaio, un rapporto peso/ resistenza superiore, spessori molto sottili per l’uso diffuso di fibre d’acciaio o sintetiche che sostituiscono le tradizionali armature in ferro, un’assenza di microporosità che ne garantisce una maggiore durabilità.

“In questo senso è un materiale versatile a più usi e a tutte le tipologie di intervento: dalle armature infrastrutturali agli edifici, dai fabbricati produttivi agli spazi pubblici e ai grandi complessi ad uso misto”, conclude la docente.

Autore

Andrea Ballocchi

Andrea Ballocchi

Andrea Ballocchi, giornalista e redattore free lance. Collabora con diversi siti dedicati a energie rinnovabili e tradizionali e all'ambiente. Lavora inoltre come copywriter e si occupa di redazione nel settore librario. Vive in provincia di Milano.

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