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Siamo in forte ritardo sulla tutela della biodiversità

Legambiente: serve una strategia post 2020 ambiziosa per il ripristino degli ecosistemi. Target di Aichi disattesi.

Abbiamo modificato il 75% delle terre emerse e il 66% degli ecosistemi marini, urge il bisogno di ridurre la pressione esercitata dall’uomo sull’ambiente. Anche perché secondo l’Ipbes (la piattaforma scientifica in materia di biodiversità e servizi ecosistemici che fa da supporto alla Convenzione per la diversità biologica) l’attività antropica ha velocizzato da cento a mille volte gli impatti negativi sul capitale naturale, rispetto a quanto visto negli ultimi 10 milioni di anni.
Per questo motivo Legambiente attraverso il dossier “Biodiversità a rischio” ricorda che la tutela degli ecosistemi deve essere posta al centro della ripresa post Covid-19.
“Il declino della biodiversità – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – è uno dei maggiori problemi ambientali che l’umanità si trova ad affrontare. Malgrado ciò, la portata e la gravità delle sue conseguenze non sono ancora percepite dal grande pubblico e dalla gran parte dei decisori politici. Eppure quanto avvenuto con il Covid-19 dovrebbe spingerci a una riflessione globale sull’urgenza di tutelare gli ecosistemi. Occorre invertire il paradigma di una Natura che soccombe alle scelte economiche e preservare ecosistemi sempre più fragili e perciò anche meno efficaci nel contenere i salti di specie dietro l’espansione di pandemie come quella in atto. Per questo, dal 2020 l’Italia deve innescare un cambiamento urgente e definire politiche a breve e lungo termine per affrontare il cambiamento climatico, l’inquinamento, l’invasione di specie aliene e tutti gli altri fattori, anche quelli legati alla produzione e al consumo di cibo, che stanno portando a una perdita senza precedenti di biodiversità”.

Tra i fattori responsabili del degrado dei nostri ecosistemi, tutti riconducibili al fattore umano, troviamo il cambio d’uso del suolo, guidato soprattutto dal fenomeno della deforestazione, l’urbanizzazione, il sovrasfruttamento delle risorse, l’inquinamento, le specie aliene invasive, i trend demografici e le migrazioni, i cambiamenti climatici.
Dal 1700 il nostro Pianeta ha perso circa l’87% delle zone umide naturali, senza dimenticare che ogni anno vengono meno 10 milioni di ettari forestali, foreste da cui dipende la sopravvivenza di oltre 1,6 miliardi di persone.
Legambiente ricorda che l’Italia è in ritardo sugli obiettivi di conservazione naturale, bisogna dunque rafforzare la legislazione sulla tutela ambientale dando piena attuazione a “Rete Natura 2000”, il principale strumento della politica dell'Unione Europea per la conservazione della biodiversità. Ma se guardiamo ai dati, risulta chiaro come anche nel resto del mondo si sia fatto poco negli ultimi decenni. Basti pensare che la maggior parte dei Target di Aichi sulla salvaguardia del patrimonio naturale (stabili dalla Convenzione sulla diversità biologica e firmati dai Paese nel 2010), che andavano realizzati nel periodo 2011-2020, verranno disattesi.

Il decennio che si apre sarà dunque fondamentale per la messa in sicurezza di tutti quei beni e servizi, conosciuti sotto al nome di servizi ecosistemici, da cui dipendiamo. Legambiente chiede di definire una strategia post-2020 ambiziosa e misurabile, che contribuisca al raggiungimento dei 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030, e che si integri con gli altri trattati internazionali che hanno un nesso con la biodiversità, incluso l’Accordo di Parigi.
Infine, per arrestare il prima possibile la perdita di biodiversità, l’associazione ha stilato le dieci azioni chiave da mettere in campo. Si va dalla lotta al cambiamento climatico all’estensione delle aree tutelate, dal miglioramento del processo di monitoraggio delle aree naturali al rafforzamento di Rete Natura 2000, passando per la piena attuazione della Strategia marina favorendo così la crescita della Blu Economy. Inoltre bisogna puntare sulla tutela dell’agro-biodiversità; su una rete nazionale dei boschi vetusti; sul contrasto alle azioni illecite contro specie faunistiche ed ecosistemi naturali; sulla protezione degli ecosistemi acquatici e dei corpi idrici superficiali; sulla lotta alle specie aliene invasive; e su una finanza verde a tutela del capitale naturale.

Autore

Ivan Manzo

Ivan Manzo

Laureato in Economia dell'Ambiente e dello Sviluppo e giornalista per Giornalisti nell’Erba. Houston, we have a problem: #climatechange! La sfida è massimizzare il benessere collettivo attraverso la via della sostenibilità in modo da garantire pari benefici tra generazioni presenti e future. Credo che la buona informazione sia la chiave in grado di aprire la porta del cambiamento. Passioni: molte, forse troppe.

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