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L’Unep analizza il difficile rapporto uomo-ambiente

Temperatura aumentata di 170 volte rispetto al tasso naturale, servono strategie improntate sulla resilienza, il permafrost può compromette il clima terrestre, mentre nascono i biohacker.

In pochi decenni è stato deteriorato il 75% del suolo del Pianeta e risultano alterati il 93% dei fiumi. Numeri che arrivano dal nuovo rapporto dell’Unep (Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) dal titolo “Frontiers 2018/19 Emerging Issues of Environmental Concern”. Lo studio analizza alcuni fattori chiave per l’equilibrio ambientale, mettendo in luce le criticità portate negli ecosistemi dall’attività umana, responsabile di aver fatto aumentare le temperature di ben 170 volte rispetto al tasso naturale. Perdita di biodiversità, fusione del permafrost, inquinamento da azoto ed effetti negativi generati dai cambiamenti climatici, nel rapporto viene analizzato ogni aspetto che rappresenta un vero e proprio pericolo per l’ambiente.

Uno arriva dal comparto genetico della biologia sintetica. In questo campo la ricerca sta avanzando e ora offre una precisione notevole per la manipolazione di genomi che non lascia tracce del genoma stesso. In questo contesto si sta diffondendo il ruolo dei “biohacker”: comunità che portano avanti la ricerca al di fuori degli istituti preposti con il rischio che queste tecniche possano diffondersi in un modo non controllato.

Per quanto riguarda la questione azoto, nonostante l’elemento sia già presente in natura, l’alterazione della sua quantità può essere dannosa per la salute del Pianeta: sotto forma di protossido di azoto è infatti un gas 200 volte più climalterante dell’anidride carbonica. Ogni anno ne viene persa una quantità pari a un valore di 200 miliardi di dollari, che va ad inquinare i terreni, l’aria e corsi d’acqua, facendo crescere nel numero le alghe tossiche.

L’azione climatica si fonda su due pilastri: adattamento e mitigazione. Il primo riguarda tutte le strategie da mettere in campo per difenderci dagli effetti indesiderati del clima che cambia, già oggi visibili in tutto il mondo. Il secondo si basa sulla decarbonizzazione dell’economia e del settore energetico, e dunque sul passaggio dalla energie fossili a quelle rinnovabili. Il rapporto dell’Unep affronta soprattutto la questione legata all’adattamento. Le strategie a tutela degli ecosistemi e della salute umana devono essere improntate sul concetto della resilienza. Nello studio viene sottolineato quanto detto dal report speciale dell’Ipcc dello scorso ottobre dove, in pratica, si faceva notare come gli effetti e i danni generati dal cambiamento climatico siano sostanzialmente diversi se cerchiamo di contenere l’aumento medio della temperatura globale entro il limite di 1,5 gradi, piuttosto che 2 gradi centigradi.

E, infine, ricorda lo studio, non va presa sottogamba la fusione del permafrost: strato di suolo ghiacciato fino a 1500 metri di profondità, che copre il 17% dell’intera superficie terrestre (un quarto dell’emisfero settentrionale). Il rischio è che con l’aumento della temperatura prenda il via il processo di fusione, rilasciando così enormi quantità di gas serra in atmosfera, e nel permafrost è intrappolata una quantità che potrebbe far accelerare il cambiamento climatico di due o addirittura tre volte (se da una parte il metano viene assorbito prima dai nostri ecosistemi, dall’altra ha un potere climalterante pari a 30 volte quello della CO2).

Autore

Ivan Manzo

Ivan Manzo

Laureato in Economia dell'Ambiente e dello Sviluppo e giornalista per Giornalisti nell’Erba. Houston, we have a problem: #climatechange! La sfida è massimizzare il benessere collettivo attraverso la via della sostenibilità in modo da garantire pari benefici tra generazioni presenti e future. Credo che la buona informazione sia la chiave in grado di aprire la porta del cambiamento. Passioni: molte, forse troppe.

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