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L'Italia è bioeconomica

Il settore della bioeconomia si conferma essere solido e con buone prospettive di sviluppo

Bioeconomia. In Italia questo settore che unisce quelli che trattano materie prime rinnovabili di origine biologica, ha raggiunto nel 2016 un valore, sulla produzione di 260 miliardi di euro, l'8,3% sul totale italiano: in crescita. Si tratta di un dato che posiziona l'Italia al terzo posto in Europa dopo Germania e Francia.  È questa la fotografia scattata dal 4° Rapporto sulla Bioeconomia in Europa redatto dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, dal Cluster della chimica verde Spring e da Assobiotec, l'Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie che fa parte di Federchimica, in collaborazione con l'Università degli studi di Palermo.

«Lo studio - dice Stefania Trenti, responsabile Industry Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo - conferma la rilevanza della bioeconomia nel nostro Paese, con un trend di crescita che ha riguardato soprattutto le componenti più innovative e i mercati esteri. La vivacità di questi settori è evidente anche dall'elevato numero di start-up della bioeconomia che abbiamo censito per la prima volta nel Rapporto. A questo proposito è interessante notare la specializzazione nella bioeconomia delle start-up innovative di alcune Regioni del Mezzogiorno, come Sicilia, Sardegna e Puglia».

Stando al rapporto, il comparto più rilevante, in termini di valore della produzione, è quello dell'industria alimentare, delle bevande e del tabacco, che copre oltre la metà del totale della bioeconomia (51%), con un valore superiore a 132 miliardi di euro, in crescita rispetto al 2015 di oltre due miliardi. Stabili o in crescita moderata gli altri settori manifatturieri più tradizionali realtivi alla bioeconomia, come il tessile, la concia, il legno e la carta, mentre è risultata più dinamica l'evoluzione dei settori a maggiore contenuto tecnologico: farmaceutica, bioenergia e chimica bio-based.

È ottima anche l'evoluzione della componente bio-based dell'energia, biocarburanti e produzione di energia elettrica da fonti biologiche, che si inserisce in un contesto di sviluppo generalizzato di tutte le fonti rinnovabili, come fotovoltaico, idrico, eolico e geotermico. In particolare, l'andamento delle bioenergie a partire dal 2008 ha evidenziato una forte accelerazione, arrivando a coprire nel 2016 quasi il 7% della produzione nazionale. Le startup innovative attinenti la bioeconomia sono state censite per la prima volta. Si tratta di 576 soggetti, circa il 7% del totale delle start-up innovative iscritte all'apposito Registro, concentrati nell'attività di R&S e consulenza: 308 imprese con una incidenza del 16,5% sul settore, una quota elevata che conferma la natura innovativa di molte delle attività bioeconomiche. «In termini di numerosità - si legge sul rapporto - seguono poi l'alimentare e bevande (67 start-up pari all'11,6% del totale) e l'agricoltura (53 soggetti pari al 9,2%). Elevata anche la presenza di start-up innovative della bioeconomia nei settori dell'acqua, energia e rifiuti (52, concentrate nell'energia e nei rifiuti) e nella chimica bio-based (41 start-up, pari a quasi il 60% dei soggetti iscritti al Registro nel settore chimico)».

«Fra le diverse fasi che compongono il ciclo idrico la più rilevante in un'ottica di bioeconomia - dice Laura Campanini economista della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo - è quella della depurazione e della conseguente produzione dei fanghi. I fanghi possono costituire una fonte importante di biomassa, attualmente solo in parte sfruttata, visto l'ampio ricorso alla discarica». Lo studio evidenzia la necessità di passare da una logica di smaltimento a una di valorizzazione delle risorse biocompatibili. Dai fanghi si possono ricavare energia (biogas e biometano), singoli nutrienti (fosforo in primis) e biomateriali (bioplastiche). L'assetto normativo e regolamentare è cruciale perché in grado di indirizzare le scelte degli operatori. Il recente decreto sul biometano darà un impulso importante alla filiera».

«I dati confermano l'importanza e le potenzialità della bioeconomia italiana, che negli anni è stata capace di dare vita a modelli fortemente innovativi e sistemici, sostenibili e competitivi allo stesso tempo», dice Giulia Gregori, componente del Comitato di Presidenza di Assobiotec-Federchimica.

Anche l'insieme delle attività legate allo sfruttamento delle risorse biologiche marine - si legge sul Rapporto - è particolarmente importante: l'Italia è il terzo paese europeo (dopo Norvegia e Spagna) per valore aggiunto nel settore della pesca e acquacoltura, con una occupazione di circa 30.000 addetti. Il quadro normativo, volto a preservare la biodiversità marina e a garantirne la sostenibilità, spinge verso la ricerca di soluzioni innovative, in particolare quelle dedicate allo sfruttamento dei sottoprodotti della pesca: dal 2015 è previsto infatti l'obbligo di sbarco anche per gli scarti. Inoltre interessanti sviluppi sono attesi dallo sfruttamento delle alghe e dei batteri marini.

Autore

Sergio Ferraris

Sergio Ferraris

Sergio Ferraris, nato a Vercelli nel 1960 è giornalista professionista e scrive di scienza, tecnologia, energia e ambiente. È direttore della rivista QualEnergia, del portale QualEnergia.it e rubrichista del mensile di Legambiente La Nuova Ecologia. Ha curato oltre cinquanta documentari, per il canale di Rai Educational Explora la Tv delle scienze. Collabora con svariate testate sia specializzate, sia generaliste. Recentemente ha riscoperto la propria passione per la motocicletta ed è divenatato felice possessore di una Moto Guzzi Le Mans III del 1983. Il sito web di Sergio Ferraris, giornalista scientifico. 

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