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L’ISTAT aggiorna i dati sul benessere

L’Italia esce dalla crisi che l’ha colpita negli ultimi anni ma aumentano le disuguaglianze. Decisiva la componente sociale e quella ambientale.

Misurare la disuguaglianza insieme alle emissioni climalteranti. Sono 2 degli indicatori che compongono il “Benessere equo e sostenibile” (BES), approvati ed inseriti ufficialmente nell’ultimo Documento di economia e finanza (DEF), lo scorso novembre.
Il Bes, nato nel 2011, punta a misurare in modo completo lo sviluppo di una società, dove per sviluppo non si intende la sola crescita del PIL pro capite. Obiettivo dell’indicatore, infatti, è monitorare sia la componente sociale che quella ambientale.
È stato sviluppato dall’ISTAT (in collaborazione con parti sociali non governative) e al suo interno racchiude 12 domini da monitorare e analizzare: reddito medio disponibile aggiustato pro capite, indice di diseguaglianza del reddito disponibile; indice di povertà assoluta; speranza di vita in buona salute alla nascita; eccesso di peso; uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione; tasso di mancata partecipazione al lavoro, con relativa scomposizione per genere; rapporto tra tasso di occupazione delle donne di 25-49 anni con figli in età prescolare e delle donne senza figli; indice di criminalità predatoria; indice di efficienza della giustizia civile; emissioni di C02 e altri gas clima alteranti; indice di abusivismo edilizio.
La notizia di questi ultimi giorni è che l’ISTAT ha aggiornato i dati sul BES, dati che confermano ancora una volta come il nostro Paese sia spaccato nella disuguaglianza e lontano da una crescita da potersi definire “sostenibile”.

L’ISTAT presenta gli ultimi dati sul BES
Sono 129 le “micro aree” analizzate che vanno a comporre i 12 indicatori che formano il BES. Il 15 dicembre l’ISTAT ha presentato il suo ultimo rapporto che fotografa la situazione italiana. Una visione d’insieme, un quadro completo che racconta da un lato i passi avanti e dall’altro le forti contraddizioni che contraddistinguono, ancora, il bel Paese.
In sintesi, nel rapporto si legge che il 2016 ha rappresentato l’anno dell’uscita dalla crisi, cominciata circa 10 anni fa. Dato sicuramente positivo, meno quello che racconta “come ne usciamo”.
La diffusione del benessere, infatti, non ha coinvolto in maniera omogenea le vaire fasce della popolazione, con differenze che si accentuano tra un territorio e l’altro.
Nel 2016 il reddito lordo pro capite per una famiglia tipo si aggirava intorno ai 18.190 euro l’anno. In aumento rispetto al periodo precedente (2015). All’aumento del reddito, però, ha corrisposto l’aumento della disuguaglianza che a sua volta ha inciso sul rischio di trovarsi sotto la “soglia di povertà”: sempre più famiglie si sono avvicinate a questo limite. La quota di popolazione a rischio povertà è passata dal 19,9% del 2014 al 20,6% del 2015.
Rischio povertà, continua l’ISTAT, fortemente legato al muro che si frappone tra la “popolazione giovane” e l’entrata nel mercato del lavoro, proprio quella che dovrebbe garantire al nostro Paese soluzioni che ci consentano di imboccare un sentiero di sostenibilità.
Inoltre, e dall’analisi emerge chiaramente, la mancanza di occupazione tra giovani unita al problema della “fuga dei cervelli” - 16 mila laureati hanno lasciato l’Italia nel 2016 - genera impatti sociali (ad esempio, viene meno la coesione della collettività) e ambientali (vengono meno le soluzioni).
E ancora. La quota di persone soddisfatte dell’ambiente e del paesaggio in cui vivono è pari solo al 21,5% degli italiani. Tutto questo si ripercuote in un tessuto sociale spaccato, significativo il fatto che solo una persona su 5 ritiene la maggior parte delle persone “degne di fiducia”.
Discorso che vale anche per la politica, argomento dibattuto da solo il 36,7% della popolazione.
L’Italia è il primo Paese in Europa a tentare di “mettere in discussione” il PIL come unico misuratore di benessere. Pur rimanendo il BES uno strumento in fase di sperimentazione – verrà utilizzato come sostituto del PIL (pare questa sia l’intenzione del Ministero dell’Ambiente) o fungerà solo da supporto per le decisioni politiche? -, siamo di fronte ad un sicuro passo avanti compiuto dall’Italia. Ora non rimane che ascoltare, e porre rimedio, ai messaggi che lancia. 

Autore

Ivan Manzo

Ivan Manzo

Laureato in Economia dell'Ambiente e dello Sviluppo e giornalista per Giornalisti nell’Erba. Houston, we have a problem: #climatechange! La sfida è massimizzare il benessere collettivo attraverso la via della sostenibilità in modo da garantire pari benefici tra generazioni presenti e future. Credo che la buona informazione sia la chiave in grado di aprire la porta del cambiamento. Passioni: molte, forse troppe.

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