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Buone pratiche per la lotta agli incendi boschivi

Per combattere l’emergenza incendi che ogni anno distrugge migliaia di ettari del patrimonio forestale italiano è fondamentale l’attività di prevenzione

Torna l’estate e torna il pericolo incendi. Un’emergenza ormai ciclica, più o meno inizia intorno alle metà di giugno e si trascina fino ai primi di settembre, che ha visto lo scorso anno risultare il peggiore per la gestione del patrimonio boschivo italiano.
Il 2017, infatti, è stato orribile per le nostre foreste, basti pensare che la perdita riscontrata è risultata pari a 140 mila ettari di terreno forestale, una quantità addirittura tre volte maggiore di quella andata in fumo nel 2016 (con la Sicilia a subire i maggiori danni, con Calabria, Campania e Puglia al seguito).
In generale, la protezione civile stima che negli ultimi 30 anni sia andato perso il 12% del patrimonio forestale dell’Italia.

Come combattere l’annoso problema degli incendi boschivi?
Lo ha spiegato PEFC Italia (Programme for Endorsement of Forest Certification schemes), associazione internazionale senza scopo di lucro nata per diffondere la certificazione sostenibile e le buone pratiche sulla gestione forestale.
“È fondamentale lavorare non soltanto nel momento dell’emergenza, ma anche e soprattutto sulla prevenzione, sia da parte dei singoli, che delle amministrazioni – spiega Maria Cristina D’Orlando, Presidente del PEFC Italia -. Questa è l’unica via possibile per combattere gli incendi e ridurre la pericolosità di eventi catastrofici come frane, incendi e alluvioni”.

Inoltre, il PEFC ha da poco diramato cinque linee guide, cinque azioni concrete da mettere in pratica per limitare i danni.
Si parte da un cambio di mentalità. Serve un nuovo approccio culturale, le foreste non vanno abbandonate, anzi, è necessario un piano di gestione che preveda pure il taglio a rotazione degli alberi. Perché, se fatto in modo corretto, contribuisce ad alimentare la crescita degli alberi più giovani a discapito di quelli malati e secchi (e quindi più a rischio incendio).
Al secondo posto, la pulizia del sottobosco. Perché un territorio curato costituisce un ostacolo al propagarsi dell’incendio. C’è poi il problema dei rifiuti, spesso abbandonati nelle aree boschive interne, possono rappresentare un vero e proprio motore per il divampare delle fiamme. Per questo, un corretto smaltimento dei rifiuti, può tradursi anche in un beneficio per l’ecosistema forestale.
Importante pure la creazione di nuove infrastrutture, dei punti con una costante presenza di acqua che, unita ad una viabilità forestale, può risultare determinante per spegnere in modo repentino l’incendio.
Infine, tra le buone pratiche, troviamo (sempre) una corretta campagna di sensibilizzazione nei confronti dei cittadini. Far capire che le foreste svolgono un ruolo determinante per il nostro benessere, attraverso ad esempio sia il servizio di regolazione climatica (grazie all’attività di stoccaggio e assorbimento del carbonio) che quello di tutela dell’assetto idrogeologico, può rendere le persone più coinvolte nell’azione di protezione forestale.

Le cause degli incendi
Secondo Legambiente la maggior parte degli incendi è di natura dolosa, il 60% di quelli appiccati nel 2016 sono ad opera di piromani e di “ecomafie“. Perché esiste una vera e propria guerra messa in atto dalla criminalità organizzata dove l’obiettivo è la gestione illecita dei territori.
Ogni anno grossa parte delle aree incendiate risultano infatti quelle sottoposte a vincolo di inedificabilità. Inoltre, appiccare un incendio può essere un segnale, un modo per minacciare quei proprietari che non vogliono piegarsi alle pressioni mafiose. Pressioni per conquistare terre “adatte” ad attività criminali come lo sversamento illecito dei rifiuti. Terre che, una volta incendiate, diventano pure più semplici da sbloccare sul piano burocratico e più vantaggiose da un punto di vista economico, con un costo d’acquisto minore. Senza dimenticare che, come successo in Calabria, a volte sono gli stessi operai incaricati alla bonifica e al ripascimento i colpevoli: incendiano per assicurarsi il “posto di lavoro” nel corso del tempo.

Ma il fenomeno ha anche un carattere globale, che trova riscontro nel fattore climatico. Sono ormai diversi gli studi che lo confermano: a causa delle condizione climatiche sempre più aride il numero e la portata degli incendi è destinato ad aumentare in tutto il pianeta. Ad incidere, soprattutto il mix tra siccità ed ondate di calore. Per quanto riguarda queste ultime, è il report “Global risk of deadly heat” pubblicato su Nature a fare chiarezza: se non dovessimo fare nulla per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, il 74% della popolazione mondiale sarà costretta a vivere nella morsa del caldo torrido e dell’afa entro il 2100. In pratica, 3 persone su 4.

Autore

Ivan Manzo

Ivan Manzo

Laureato in Economia dell'Ambiente e dello Sviluppo e giornalista per Giornalisti nell’Erba. Houston, we have a problem: #climatechange! La sfida è massimizzare il benessere collettivo attraverso la via della sostenibilità in modo da garantire pari benefici tra generazioni presenti e future. Credo che la buona informazione sia la chiave in grado di aprire la porta del cambiamento. Passioni: molte, forse troppe.

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