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Una specie su otto a rischio estinzione

Il più ampio studio, ad opera di Ipbes, sulla perdita di biodiversità avverte: “siamo di fronte a un declino senza precedenti”.

Ci aveva già pensato, qualche anno fa, il Millennium Ecosystem Assesment (MEA) ad informarci sui rischi che corre la biodiversità sul Pianeta a seguito delle modifiche imposte dall’attività umana, in particolare dal settore economico. Nel rapporto del 2005 si leggeva che “nel 58,1% della superficie terrestre (dove vive il 71,4% della popolazione) la perdita di biodiversità è tale da compromettere la capacità degli ecosistemi di sostenere le società umane”.
Otto anni dopo, nel 2013, in “Natural Capital at Risk: The Top 100 Externalities of Business” presentato dal programma internazionale TEEB (The Economics of Ecosystems and Biodiversity), venivano analizzate le 100 principali esternalità negative (si manifestano quando l’attività economica comporta una perdita di benessere ai soggetti esterni al processo economico) nel mondo: “un costo per la collettività pari a 4mila e 700 miliardi di dollari l’anno”.
Adesso arriva la più ampia analisi fatta sul tema, proprio dall’uscita del MEA, ad opera dell’IPBES (The Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services), una piattaforma dell’Onu intergovernativa simile a quella che c’è per il clima (l’IPCC), che si occupa di raccogliere i dati relativi alla biodiversità sul pianeta con l’intento di fornire supporto ai decisori politici di tutto il mondo.

“Un declino senza precedenti”. Può essere sintetizzato così lo studio che ha coinvolto oltre 145 ricercatori di 50 Paesi diversi.
“La natura si degrada globalmente ad un ritmo senza precedenti nella storia umana, e il tasso di estinzione delle specie accelera causando effetti gravissimi sulla popolazione del mondo intero”, si legge nel documento.
Lo studio ha valutato il cambiamento che hanno subito gli ecosistemi negli ultimi 50 anni, prendendo in esame circa 15mila dati scientifici, tra fonti governative ed enti locali.
Secondo il rapporto, un milione di specie (sulle 8 milioni catalogate) sono a rischio estinzione, basti pensare che parlando solamente di biomassa dei mammiferi sul Pianeta, questa si è ridotta dell’82%.
Non meglio se la passano le barriere coralline diminuite di quasi un terzo, e gli anfibi: due su cinque a rischio estinzione, soprattutto per un fattore climatico. Il sesso dei coccodrilli, ad esempio, viene deciso in base alle temperature. Con l’aumento di quest’ultime, si determina una sovrappopolazione da parte dei coccodrilli femmina, motivo che mette a rischio la riproduzione della specie.
Per quanto riguarda la situazione degli insetti, fondamentali per via della loro attività di impollinazione, il quadro risulta meno preciso per una mancanza di dati, ma si stima che almeno un insetto su dieci sia a rischio. Un quadro che si ripercuote sulla mancata produzione agricola che, secondo l’IPBES, potrebbe mettere in discussione 577 miliardi di dollari di introiti, senza contare il gli enormi problemi generati da una minor produzione di cibo.
E ancora, il 75% dei suoli mondiali risulta già degradato o modificato dall’uomo (diventando per esempio suoli agricoli o strade di cemento) e solo il 3% dei fondali marini sono ancora “sconosciuti”.
In termini di habitat, sono la zone umide quelle messe peggio (tra le più biodiverse sul Pianeta, ottime per lo stoccaggio della CO2) con una perdita pari all’83% dal 1700 a oggi. In declino anche l’ecosistema forestale che, solo nei 13 anni tra il 200 e il 2013, ha visto perdere un’area più grande di Regno Unito e Francia messe insieme. Il tutto, mentre le emissioni gas serra continuano a crescere dopo qualche anno di “stabilità”: toccata per la prima volta la soglia 415ppm (parti per milione di anidride carbonica presente in un metro cubo d’aria) di CO2.
Infine, il rapporto prova a lanciare, nonostante i numeri, un messaggio di speranza: “Non è ancora troppo tardi per agire – si legge – la natura dotata di grandi capacità di resilienza può ancora essere conservata, ma serve un’azione immediata e decisa”.

Autore

Ivan Manzo

Ivan Manzo

Laureato in Economia dell'Ambiente e dello Sviluppo e giornalista per Giornalisti nell’Erba. Houston, we have a problem: #climatechange! La sfida è massimizzare il benessere collettivo attraverso la via della sostenibilità in modo da garantire pari benefici tra generazioni presenti e future. Credo che la buona informazione sia la chiave in grado di aprire la porta del cambiamento. Passioni: molte, forse troppe.

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