Laureato in Economia dell'Ambiente e dello Sviluppo e giornalista per Giornalisti nell’Erba. Houston, we have a problem: #climatechange! La sfida è massimizzare il benessere collettivo attraverso la via della sostenibilità in modo da garantire pari benefici tra generazioni presenti e future. Credo che la buona informazione sia la chiave in grado di aprire la porta del cambiamento. Passioni: molte, forse troppe.
L’aiuto al riciclo della plastica potrebbe arrivare da un microbo
La plastica rappresenta un problema sempre più grande per l’equilibrio naturale, un problema dovuto anche al fatto che ce ne sono diversi tipi, e non tutte possono essere riciclate allo stesso modo.
Un aiuto alla lotta di questo particolare inquinante potrebbe arrivare stesso dagli organismi ospitati dai nostri ecosistemi. Un team di scienziati ha infatti identificato un microbo che potrebbe essere in grado di “mangiare” una delle materie plastiche più dure e difficili da smaltire.
Si tratta del batterio chiamato “Pseudomonas sp. TDA1”, in grado di masticare alcuni dei legami chimici presenti nella plastica a base di poliuretano (PU), utilizzata in diversi beni di consumo, dai frigoriferi alle scarpe.
Il problema del poliuretano è dato dal fatto che non si scioglie quando riscaldato, quindi è difficile distruggerlo, ma non per Pseudomonas sp. TDA1 che con la sua azione potrebbe riuscire a metabolizzare alcuni componenti chimici che compongono questo tipo di plastica.
"I batteri possono utilizzare questi composti come fonte di carbonio, azoto ed energia", ha dichiarato in merito allo studio, pubblicato il 27 marzo dalla rivista Frotniers in Microbiology, il microbiologo Hermann Heipieper del Centro Helmholtz per la ricerca ambientale-UFZ in Germania. "Questa scoperta rappresenta un passo importante nella possibilità di limitare la diffusione nell’ambiente di quei prodotti PU difficili da riciclare".
Secondo il team, Pseudomonas sp. TDA1 proviene da un gruppo di batteri noti per essere in grado di assorbire composti organici tossici, inoltre è un microrganismo estremofilo, che in pratica riesce a sopravvivere nelle condizioni più difficili, incluso l'ambiente intossicato dal processo di degradazione della plastica.
La ricerca però avverte che questo è solo un inizio, “avremo infatti bisogno di conoscere meglio questi processi biochimici prima di poter iniziare a mettere a punto l’uso di Pseudomonas sp. TDA1”.
Solo nel 2015 in Europa sono state prodotte più di 3,5 milioni di tonnellate di plastica poliuretanica, un materiale che si adatta a vari utilizzi, data la sua caratteristica di leggerezza e flessibilità. Bisogna però ricordare che parliamo di una tipologia di materiale che una volta in discarica, o in fase di decomposizione, è in grado di rilasciare sostanze tossiche, cancerogene per l’uomo.
Ma solo attraverso l'impiego di batteri possiamo contrastare il problema dell’inquinamento da plastica? La risposta è chiara: no, soprattutto contro l’enorme uso del PU. Per questo motivo la ricerca da una parte prosegue, per cercare di capire come modificare il poliuretano per renderlo meno pericoloso, ma dall’altra avverte che vale sempre la stessa regola: “meno ci affidiamo alla plastica è meglio è, dobbiamo intensificare gli sforzi per limitarne sempre di più l’uso. Le materie plastiche post-consumo rappresentano una grande sfida per l'ambiente e lo saranno ancor di più in futuro".