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Dove finisce la plastica

Una nuova ricerca condotta in Australia mostra come intorno alle zone urbane ci sia sempre più vegetazione contaminata da rifiuti di plastica.

Tutti gli studi su plastica e rifiuti presenti nelle acque marine condotti fin’ora concordano su un aspetto: gli oceani sono diventati una “plastic soup”, una sorta di zuppa plasticosa. Tuttavia, solo l’1% della plastica dispersa risulta essere stata “osservata” sulle superfici oceaniche. Ma, posto che la plastica in acqua con il tempo si scompone in microgranuli e diventa invisibile all’occhio umano, dove si trova il resto di quella osservabile?
Studi recenti sembrano convergere su una nuova tesi, i residui visibili si trovano ben lontani da dove si è pensato fin’ora (e cioè in mezzo al mare e sui fondali oceanici): sono spiagge e vegetazioni a esser diventate le nuove discariche del Pianeta.
Secondo la ricerca “Coastal margins and backshores represent a major sink for marine debris: insights from a continental-scale analysis”, infatti, che ha analizzato durante il periodo 2011-2016 quasi 200 aree lungo l’intera costa australiana, dei frammenti e dei detriti rinvenuti, circa il 56% era plastica (tra i materiali più ritrovati, seguono vetro con il 17% e polistirolo con il 10%). La cosa interessante è che in queste zone “la più alta concentrazione del mix di rifiuti si trovava proprio nelle aree con maggiore vegetazione”.
Questa scoperta ha portato i ricercatori a riflettere su un aspetto in particolare, pian piano che ci si allontana dall’ecosistema marino si continuano a ritrovare cumuli di plastiche e rifiuti. Per capire come sia possibile, non deve essere sottovalutato il ruolo che altri fenomeni naturali hanno giocato in questo scenario. Fenomeni come le correnti dei fiumi e quelle atmosferiche, ma anche quelli direttamente imputabili all’attività umana. Le aree costiere maggiormente coinvolte, infatti, sono proprio quelle più popolate e facilmente accessibili all’uomo: “quanto più vicino ci si trova alla zona urbana tanto più i rifiuti di plastica sono presenti. Questi rimangono intrappolati nella vegetazione e sulle rive dei fiumi prima ancora di raggiungere l’oceano”.
Un inquinamento che uccide, sostiene la ricerca, dato che la presenza di rifiuti provoca mutilazione tra la fauna selvatica che scambia per pezzi di cibo i frammenti di plastica. Un aspetto che dunque danneggia ulteriormente i nostri ecosistemi, già indeboliti da altre minacce quali perdita di biodiversità e cambiamento climatico, e che permette la più facile diffusione delle specie aliene invasive che, va ricordato, solo a noi europei provocano 14 miliardi di euro di danni ogni anno. Un fattore che impatta anche sulle entrate economiche derivanti dall’attività turistica.
Infine, i risultati evidenziano l'importanza di monitorare continuamente non solo le aree urbane ma anche quelle più lontane, in modo da sviluppare strategie per una migliore gestione dei rifiuti. L'inquinamento da plastica può essere ridotto sia attraverso cambiamenti locali nel modello di raccolta dei rifiuti, sia attraverso incentivi e campagne di sensibilizzazione sull’argomento. Perché anche in questo caso l’attività dei singoli cittadini può essere determinante.

Autore

Ivan Manzo

Ivan Manzo

Laureato in Economia dell'Ambiente e dello Sviluppo e giornalista per Giornalisti nell’Erba. Houston, we have a problem: #climatechange! La sfida è massimizzare il benessere collettivo attraverso la via della sostenibilità in modo da garantire pari benefici tra generazioni presenti e future. Credo che la buona informazione sia la chiave in grado di aprire la porta del cambiamento. Passioni: molte, forse troppe.

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