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Costruire muri per contenere l’innalzamento dei mari

Erigere barriere di roccia e sabbia sui fondali marini dell’Antartide potrebbe rallentare lo scivolamento dei ghiacciai sottomarini

L’undici settembre le immagini hanno immortalato lo scioglimento di un grosso ghiacciaio alpino. Nei primi di luglio era toccato invece a un’enorme iceberg, grande quanto un terzo di Manhattan, staccarsi dalla Groenlandia.
Contenere questo effetto legato all’aumento delle temperature, almeno per quanto riguarda i ghiacciai marini, potrebbe essere fatto grazie alla “costruzione di muri” (stavolta per giusta causa).

I ricercatori sono impegnati continuamente a cercare soluzioni per frenare l’innalzamento dei mari provocati dal riscaldamento globale e “Stopping the flood: could we use targeted geoengineering to mitigate sea level rise?”, da poco pubblicato dalla European Geosciences Union, ne è un esempio. Il rapporto sostiene che erigendo barriere di roccia e sabbia si può rallentare lo scivolamento dei ghiacciai sottomarini, mentre si disintegrano nel profondo. Inoltre, il design di queste barriere sarebbe relativamente facile da realizzare. "Stiamo immaginando strutture molto semplici, attraverso l’uso di cumuli di ghiaia o sabbia sul fondo dell'oceano. Un’opera plausibile, alla portata dell’uomo", sostiene Michael Wolovick, ricercatore presso il dipartimento di geoscienze dell'Università di Princeton negli Stati Uniti e tra le prime firme dello studio.
Wolovick e i suoi colleghi, tramite la creazione di appositi modelli sviluppati via software, hanno verificato i probabili effetti delle strutture in questione, prendendo come caso studio il ghiacciaio Thwaites in Antartide, uno dei più vasti al mondo.
La creazione di una struttura di colonne o tumuli isolati sul fondo del mare, ciascuno alto circa 300 metri, richiederebbe tra 0,1 e 1,5 km cubi di materiale aggregato. Quantità simile a quella utilizzata per formare le Palm Islands di Dubai.
Costruire una struttura di questo tipo avrebbe circa il 30% di probabilità di rallentare il collasso da parte della calotta glaciale dell'Antartide occidentale, secondo i modelli utilizzati dallo studio.
Usando invece progetti più complessi, si potrebbe pure bloccare metà dell'acqua calda destinata a raggiungere le piattaforme dell’Antartide (con una probabilità di successo del 70%).
I ghiacciai che si fondono ai poli hanno il potenziale di scaricare grandi quantità di acqua dolce negli oceani, facendo sì che i livelli del mare salgano più velocemente di quanto abbiano fatto per millenni. Il ghiacciaio Thwaites, ad esempio, con un'stensione paragonabile alla Gran Bretagna, è probabilmente la più grande fonte di innalzamento futuro del livello del mare: da solo potrebbe rilasciare una quantità d’acqua capace di far crescere i livelli del mare in alcune zone fino a tre metri.

“Studi di geoingegneria come questo, non dovrebbero però impedire al mondo di ridurre le emissioni gas serra – afferma infine Wolovick –. Perché più carbonio emettiamo e minore sarà la probabilità di sopravvivenza delle calotte di ghiaccio, così importanti nel regolare l’intero sistema climatico terrestre”.
Gli autori del report sperano che, grazie al loro contributo, si riesca a promuovere la geoingegneria per il clima. Tali progetti però, oltre a richiedere una grossa mole di investimenti e diversi anni (se non decenni) per essere implementati, non sarebbero una soluzione definitiva al problema. Servirebbero infatti giusto per prendere un altro po’ di tempo. Tempo prezioso, “da utilizzare per una decisa azione di contrasto al cambiamento climatico”.

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antartide | clima

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Autore

Ivan Manzo

Ivan Manzo

Laureato in Economia dell'Ambiente e dello Sviluppo e giornalista per Giornalisti nell’Erba. Houston, we have a problem: #climatechange! La sfida è massimizzare il benessere collettivo attraverso la via della sostenibilità in modo da garantire pari benefici tra generazioni presenti e future. Credo che la buona informazione sia la chiave in grado di aprire la porta del cambiamento. Passioni: molte, forse troppe.

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