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Una buona notizia: lo strato di ozono sta guarendo

Sembra pian piano funzionare il meccanismo di controllo messo in piedi dalle Nazioni Unite. Restano comunque alcune criticità

La conferma arriva dall’ONU ed è messa nera su bianco nell’ultimo “Scientific Assessment of Ozone Depletion: 2018". Il buco dell’ozono, seppur con lentezza, si sta chiudendo. Le misure adottate in tutto il mondo, grazie alla cooperazione tra i vari Stati, stanno producendo gli effetti desiderati e adesso si spera di raggiungere una condizione ottimale dei livelli di ozono presenti in atmosfera entro il 2060.
Fondamentale in questi anni, quella sull’ozono è una battaglia che parte dagli anni ’80 del secolo scorso, è stato il progressivo monitoraggio e l’apporto fornito dagli scienziati sul tema, come sottolinea David Fahey, co-presidente del gruppo di valutazione e facente parte del comitato scientifico del protocollo di Montreal: "Questi nuovi risultati di valutazione sottolineano l'importanza del monitoraggio continuo a lungo termine degli HFC nell'atmosfera quando inizia l'emendamento Kigali”.
In sostanza, l’accordo di Kigali, che dovrebbe essere stipulato in Ruanda nel 2019, punta alla completa sostituzione degli idrofluorocarburi - gli HFC, che a loro volta avevano sostituito i vecchi CFC (clorofluorocarburi) in seguito alla messa al bando decisa dal Protocollo di Montreal - con alternative più sostenibili: pur dando una mano all’ozono, gli HFC restano infatti un gas serra letale, in grado di potenziare gli effetti del riscaldamento globale.
Si cerca di dare attuazione, quindi, a una soluzione che sia davvero eco-compatibile.

Secondo lo studio, dal 2000 i livelli di ozono nel secondo dei cinque strati dell’atmosfera terrestre si stanno ristabilendo a un ritmo tra l’1% e il 3% annuo. Se confermato, a questo ritmo l’ozonosfera dell’emisfero australe potrebbe raggiungere una quota ottimale di ozono nel 2050, quella delle regioni polari, dove si registra attualmente la situazione più critica, entro il 2060 mentre, per quanto riguarda la situazione alle medie latitudini, tutto potrebbe essere ristabilito molto prima: già per l’anno 2030. 

Per le Nazioni Unite, questa è la dimostrazione che la diplomazia può portare a risultati concreti ed è in grado di tutelare la salute collettiva. L’azione di contrasto alla formazione del buco dell’ozono nasce infatti nel 1987 con l’istituzione del Protocollo di Montreal e il successivo abbandono dei CFC, usati fino a 30 anni fa come gas refrigeranti per il funzionamento (soprattutto) di frigoriferi e condizionatori d’aria.
"Ecco perché il Protocollo di Montreal è uno degli accordi multilaterali di maggiore successo nella storia. Il saggio mix tra scienza autorevole e azione collaborativa che ha definito il Protocollo per oltre 30 anni ci ha portato a questi risultati. Adesso, grazie all’accordo di Kigali, potremo portare anche dei benefici legati all’azione climatica”, conclude il direttore esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (UNEP), Erik Solheim.

Autore

Ivan Manzo

Ivan Manzo

Laureato in Economia dell'Ambiente e dello Sviluppo e giornalista per Giornalisti nell’Erba. Houston, we have a problem: #climatechange! La sfida è massimizzare il benessere collettivo attraverso la via della sostenibilità in modo da garantire pari benefici tra generazioni presenti e future. Credo che la buona informazione sia la chiave in grado di aprire la porta del cambiamento. Passioni: molte, forse troppe.

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