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La crisi idrica colpisce due miliardi di persone

Africa e Medio Oriente devono convivere con la scarsità di acqua, ma la gestione insostenibile della risorsa e il cambiamento climatico mettono a rischio anche l’Italia.

Dal 1960 i prelievi di acqua nel mondo sono più che raddoppiati e già diversi Paesi soffrono di problemi idrici, mettendo a repentaglio la salute delle persone e lo sviluppo locale. Un fenomeno da ricondurre sia alle inefficienze di gestione che ai duri colpi del cambiamento climatico.
Gli ultimi dati relativi alla quantità di acqua disponibile nel mondo sono stati diffusi nel mese di agosto dal World Resources Institute (Wri) e dalla sua piattaforma Aqueduct, che monitora la costantemente la situazione.

Sono 17 le nazioni costrette ad affrontare l’emergenza idrica, per farsi un’idea basti pensare che parliamo di un quarto della popolazione mondiale. Più specificatamente, Qatar, Israele e Libano guidano la classifica dei Paesi con uno “stress estremo della risorsa idrica”, seguiti da Iran, Giordania, Libia, Kuwait, Arabia Saudita, Eritrea, Emirati Arabi, San Marino, Bahrein, India, Pakistan, Turkmenistan, Oman e Botswana.
Togliendo la sola San Marino, è facile osservare come i Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa siano quelli che attualmente subiscono gli effetti più gravi. Una crisi esacerbata non solo dal riscaldamento globale ma anche da logiche di gestione che si sposano poco con gli interessi della collettività.
Circa l’80% dell’acqua consumata ogni anno in questi Paesi, infatti, viene utilizzata per scopi agricoli e industriali, un motivo che dovrebbe indurre a spingere sempre più forte in direzione di politiche anti-spreco, e in particolare basate sulla sostenibilità. Sebbene la crisi colpisca queste regioni anche per motivi storici e di conformazione geologica, il Wri consiglia di mettere in piedi una strategia di gestione che punti: ad aumentare l’efficienza agricola (attraverso sistemi di irrigazione più sostenibili e tramite l’uso di semi che richiedono meno acqua), a investire in infrastrutture grigie e verdi (parliamo di impianti artificiali e della creazione di ecosistemi naturali di supporto, come le zone umide), e al riutilizzo delle acque reflue (quelle acque la cui qualità è stata modificata dall'azione antropica dopo l’attività domestica o industriale).

A doversi preoccupare ci sono però anche Paesi che, fino ad ora, non hanno avuto grossi problemi in relazione alla quantità disponibile di acqua. Un esempio viene dall’Europa e, in particolare, dall’Italia. Il nostro Paese è stato inserito nella seconda fascia, quella dei “Paesi ad alto rischio (siamo alla posizione numero 44 della classifica generale)”, una valutazione in linea con quanto detto tempo fa dal Consiglio Nazionale delle Ricerche: “Le aree siccitose coprono oltre il 41% della superficie terrestre dove vivono circa 2 miliardi di persone. Il 72% delle terre aride ricadono in Paesi in via di sviluppo. Se si guarda all’Italia, gli ultimi rapporti ci dicono che è a rischio desertificazione quasi il 21% del territorio nazionale, il 41% del quale si trova nel sud. Sono numeri impressionanti che raccontano di un problema drammatico di cui si parla pochissimo. Entro la fine di questo secolo le previsioni parlano, per il bacino del Mediterraneo, di aumenti delle temperature tra 4 e 6 gradi e di una significativa riduzione delle precipitazioni”.
Inoltre, la questione deve essere vista anche con una prospettiva locale: ci sono Paesi, per esempio come gli Stati Uniti, che nel complesso non vivono una condizione difficile, ma che all’interno hanno regioni, come il New Messico, che potrebbero essere inseriti nella classifica dei Paesi più a rischio.
Infine, il Wri ricorda che il danno, oltre a minacciare il benessere delle persone, si traduce anche in una consistente perdita economica: entro il 2050 potrebbe rappresenta tra il 6% e il 14% del Pil mondiale (secondo stime della Banca Mondiale).

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Ivan Manzo

Ivan Manzo

Laureato in Economia dell'Ambiente e dello Sviluppo e giornalista per Giornalisti nell’Erba. Houston, we have a problem: #climatechange! La sfida è massimizzare il benessere collettivo attraverso la via della sostenibilità in modo da garantire pari benefici tra generazioni presenti e future. Credo che la buona informazione sia la chiave in grado di aprire la porta del cambiamento. Passioni: molte, forse troppe.

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