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No all’air gun in Puglia. Greenpeace sfida Edison

L’associazione ambientalista chiede al ministero dell’Ambiente di non concedere il permesso alla ricerca nelle acque di Santa Maria di Leuca, ricche di biodiversità

Edison è intenzionata ad estendere la propria ricerca di gas e petrolio lungo il territorio italiano e, questa volta, a finire nel mirino della multinazionale dell’energia, è toccato alla zona di Santa Maria di Leuca, al largo delle coste salentine, in Puglia. Ma a mettersi tra la richiesta pervenuta al Ministero dell’Ambiente e l’attività di esplorazione, si inserisce ora Greenpeace, in prima linea per la difesa dei fondali marini.
L’associazione ambientalista ha infatti annunciato di aver presentato le proprie osservazioni al dicastero dell’Ambiente sul progetto presentato dalla Edison. Greenpeace, nel chiedere il respingimento del permesso, fa notare che è altamente inopportuno mettere a repentaglio l’equilibrio naturale in un’area classificata dalla Convenzione sulla Biodiversità (Convention on Biological Diversity - CBD) come zona “EBSA” (Ecologically or Biologically Significant Marine Areas).
In pratica un’area preziosa per le funzioni che svolge per l’intero ecosistema marino del luogo, soprattutto grazie alla scoperta della presenza di banchi di coralli in profondità. Importanza che è stata ribadita anche dalla decisione di vietare le attività di pesca a strascico, presa nel 2005 dalla Commissione Generale per la Pesca nel Mediterraneo della Fao.

Al centro delle preoccupazioni dell’associazione sembra esserci proprio il modo con cui Edison intende procedere con le attività esplorative. La ricerca di nuovi giacimenti fossili tra i fondali marini avverrebbe, infatti, con il dispositivo dell’air gun. Tecnica che, generando potenti onde d’urto artificiali, è capace di identificare i depositi di idrocarburi offshore.
“Per la ricerca di un giacimento marino sono impiegati decine di airgun, disposti su due file a una profondità di 5-10 metri: producono violente detonazioni ogni 10-15 secondi per settimane, continuativamente – spiega Greenpeace -. Il rumore generato è almeno doppio rispetto a quello del decollo di un jet. Gli effetti dannosi delle esplosioni sull’ecosistema marino sono documentati in numerosi studi. In questo caso colpirebbero molte specie: tonni, pesci spada, squali, mobule, cetacei, tartarughe caretta, nonché habitat di profondità con organismi come coralli e spugne che rappresentano importanti serbatoi di biodiversità, sono aree di riproduzione di numerose specie ittiche. Inoltre, la zona che Edison vuole bombardare è a pochi chilometri dalla Fra. Un tratto in cui i pescatori non possono pescare verrebbe dunque sottoposto a impatti sonori di centinaia di decibel. Se un pescatore volesse usare ordigni del genere sarebbe pesantemente sanzionato”.

Inoltre, Greenpeace sottolinea come la volontà di continuare a sfruttare i pochi giacimenti che si trovano sotto il suolo nazionale sia anacronostica, contraria a tutti gli Accordi presi e ratificati dal nostro Paese a livello globale, primo fra tutti quello di Parigi.
Nonostante ci siano esempi virtuosi nel mondo che vietano la ricerca di nuovi fossili. Ne è un esempio il Paese del centro America del Belize e, ultima in ordine cronologico, la Nuova Zelanda che continua a rinunciare “a riserve infinitamente più consistenti di quelle presenti sotto i nostri fondali – afferma il direttore delle Campagne di Greenpeace Italia, Alessandro Giannì–. Questo pur di proteggere gli ecosistemi, il clima e ogni altra attività economica legata al mare e potenzialmente danneggiata dal petrolio”.

Autore

Ivan Manzo

Ivan Manzo

Laureato in Economia dell'Ambiente e dello Sviluppo e giornalista per Giornalisti nell’Erba. Houston, we have a problem: #climatechange! La sfida è massimizzare il benessere collettivo attraverso la via della sostenibilità in modo da garantire pari benefici tra generazioni presenti e future. Credo che la buona informazione sia la chiave in grado di aprire la porta del cambiamento. Passioni: molte, forse troppe.

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