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Come ripristinare gli ecosistemi?

La convenzione sulla diversità ecologica sta ragionando sul post 2020: un terzo degli ecosistemi protetti entro il 2030, rispettare target 2°C e lotta alle specie aliene invasive.

Le parti della Convenzione sulla diversità ecologica, trattato internazionale adottato nel 1992 al fine di tutelare la biodiversità, stanno ragionando sulla tabella di marcia post 2020. L’intenzione è quella di mettere in piedi una strategia orientata alla sostenibilità, in modo da permetterci di vivere in armonia con il Pianeta e le risorse naturali entro il 2050.
Per riuscire in questa non semplice impresa, il Working group costituito in seno alla Conferenza ha stilato il documento “Zero draft of the post-2020 global biodiversity framework” che presenta alcune raccomandazioni e una tabella di marcia da non fallire.
Siamo alle prese con quella che gran parte della comunità scientifica definisce “sesta estinzione di massa”. La novità è che per la prima volta nella storia la scomparsa di specie animali e vegetali non dipende da fattori naturali ma dall’attività antropica condotta dall’uomo.
Secondo le ultime ricerche circa un milione di specie conosciute (su un totale di 8 milioni) rischia di scomparire entro la fine di questo secolo, e in molte altre saranno costrette a modificare le proprie abitudini.
Annunciato lo scorso 13 gennaio, il documento “Zero draft” intende dare il suo contributo per costruire un mondo più resiliente, in grado di rispondere alla domanda di beni e servizi (parliamo dei servizi ecosistemici) che l’uomo ogni anno rivolge agli ecosistemi. Per uscire dalla crisi il Working group suggerisce che al centro della strategia da attuare nel periodo 2021-2030 ci siano dei target ben definiti e quantificabili.
Per metterci dunque sulla buona strada, scongiurando così un futuro definito catastrofico, entro il 2030 circa un terzo degli ecosistemi del Pianeta deve essere messo sotto protezione, alzando l’asticella per le aree parecchio ricche di biodiversità e sensibili alle modifiche imposte dall’uomo: almeno il 60% di queste zone deve essere protetto o incluso in meccanismi di gestione virtuosi.
Tra gli obiettivi da non fallire e menzionati dal Working group troviamo l’Accordo di Parigi per limitare l’aumento medio della temperatura terrestre al di sotto di 2°C (gradi centigradi) rispetto ai livelli del 1880, un fatto che sottolinea la stretta relazione che esiste tra cambiamento climatico e perdita di biodiversità.
C’è poi la lotta alle specie aliene invasive. Nonostante sia spesso dimenticata, rappresenta un fattore determinanti per limitare i danni che subiscono le specie autoctone, danni di tipo anche economico basti pensare che il fenomeno costa solo all’Europa 12 miliardi euro l’anno. Per questo, il documento precisa che va dimezzato nei prossimi anni il tasso delle specie non endemiche introdotte negli ecosistemi. Infine è presente la lotta alla plastica – a questo ritmo avremo più plastica che pesci nei nostri mari nel 2050 -, e quella ai prodotti utilizzati soprattutto in agricoltura e che recano un grosso danno alle specie – basti pensare a tutti gli studi che ci avvertono sul pericolo che stanno correndo le api, fondamentali per la produzione di alimenti -.

Da quando l’uomo abita il Pianeta, il decennio (2011-2020) che sta volgendo al termine viene descritto come il più distruttivo della storia per la biodiversità terrestre, nonostante l’Onu avesse dedicato questa decade proprio alla protezione della biodiversità. L’auspicio è che il 2021-2030 sia davvero quello del “ripristino degli ecosistemi”, come hanno annunciato qualche tempo fa sempre le Nazioni Unite.

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Autore

Ivan Manzo

Ivan Manzo

Laureato in Economia dell'Ambiente e dello Sviluppo e giornalista per Giornalisti nell’Erba. Houston, we have a problem: #climatechange! La sfida è massimizzare il benessere collettivo attraverso la via della sostenibilità in modo da garantire pari benefici tra generazioni presenti e future. Credo che la buona informazione sia la chiave in grado di aprire la porta del cambiamento. Passioni: molte, forse troppe.

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