Laureato in Economia dell'Ambiente e dello Sviluppo e giornalista per Giornalisti nell’Erba. Houston, we have a problem: #climatechange! La sfida è massimizzare il benessere collettivo attraverso la via della sostenibilità in modo da garantire pari benefici tra generazioni presenti e future. Credo che la buona informazione sia la chiave in grado di aprire la porta del cambiamento. Passioni: molte, forse troppe.
Cina: affondata la petroliera iraniana
È affondata la petroliera iraniana che lo scorso 6 gennaio era entrata in collisione con un mercantile in acque cinesi. Lo si apprende dai media locali che hanno fatto rimbalzare la notizia nei vari organi di stampa globali.
Sono circa 136 mila le tonnellate di petrolio riversate in mare fino ad ora e, anche se il governo cinese prova a smorzare le paure – “non si vede una grossa chiazza in mare” fanno sapere da Pechino – rimane alto l’allarme del disastro ambientale.
Intanto il governo iraniano ha perso le speranze di trovare ancora in vita i 29 marinai dispersi nell’incidente.
La collisione del 6 gennaio
La Sanchi, questo il nome della petroliera iraniana, trasportava 150 mila tonnellate di greggio. Quasi 1 milione di barili di “condensato” contenenti un petrolio raffinato, ultraleggero, che ora galleggia pericolosamente in acque cinesi.
L’incidente, avvenuto la sera di sabato 6 gennaio nel mare orientale al largo di Shanghai, è stato causato da una collisione tra la Sanchi e il mercantile CF Crystal di Hong Kong.
Dai racconti dei media locali si apprende che subito dopo lo scontro la petroliera ha preso fuoco. Elemento che aveva preoccupato non poco le autorità e messo sul piede di guerra le associazioni ambientaliste che temevano proprio che la nave trasporto potesse inabissarsi.
E si sa, soprattutto quando si parla di ambiente, la legge di Murphy (se qualcosa può andar male, state sicuri che andrà male) è sempre dietro l’angolo: a causa del susseguirsi di diverse esplosioni a bordo, la nave è colata a picco.
Fuoco, che negli ultimi 8 giorni oltre ad aver alimentato la fuoriuscita di gas altamente tossici, si è rivelato il nemico numero uno anche per le operazioni di contenimento greggio.
In totale sulla Sanchi c’erano 30 iraniani e 2 cittadini del Bangladesh.
Per un’intera settimana i soccorsi avevano sperato di trovare vivo qualcuno. Speranza persa col passare del tempo e al seguito del ritrovamento di soli 3 cadaveri (29 sono ancora dispersi).
Diversa, per fortuna, la sorte per il cargo mercantile di Hong Kong dove i 21 membri se la sono cavata soltanto con un grosso spavento.
Il greggio trasportato dalla nave iraniana potrebbe davvero generare un nuovo disastro ambientale. Se guardiamo, infatti, ai quantitativi di petrolio trasportati, ci accorgiamo che risultano essere maggiori rispetto a quelli di altri disastri del passato.
Come quello del marzo del 1989 quando la Exxon Valdez, con le sue 38 mila tonnellate disperse, mise in crisi l’Alaska causando la morte di milioni di pesci insieme a quella di 250.000 uccelli marini e di altre migliaia di specie che abitavano l’ecosistema.
E come quello tutto italiano del 1991 causato dalla nave cipriota “M/C Haven” che, affondando al largo delle coste genovesi (a seguito di un’esplosione a bordo definita accidentale), riversò 144 mila tonnellate di petrolio in mare.
Inoltre, particolare attenzione questa volta, viene riposta al “condensato”. Particolare tipo di petrolio diverso da quello che siamo abituati a vedere: si trova sotto forma di gas in barili ad alta pressione e si liquefa quando viene estratto. La diffusione del condensato è più difficile da arginare: può essere incolore e inodore, caratteristiche che rendono un problema sia l’individuazione che la fase di raccolta/bonifica.