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Rifiuti

Inceneritori, una tecnologia che divide

Le emissioni dei termovalorizzatori sono ritenute da molti ambientalisti dannose per l’ambiente e la salute umana. Nella Penisola ci sono però già 50 impianti operativi

Scritto da il 29 novembre 2013 alle 9:57 | 0 commenti

Inceneritori, una tecnologia che divide

Se provate a digitare la parola “inceneritore” su un motore di ricerca troverete oltre un milione di risultati. Quasi superfluo dire che la grande maggioranza delle pagine è di contenuto estremamente negativo, a tratti quasi apocalittico. Non mancano poi, quasi settimanalmente, notizie di opposizione alla costruzione di nuovi impianti di termovalorizzazione, tanto che persino il ministero dell’Ambiente si era spinto per una moratoria annuale, poi saltata in extremis.

Nonostante le normative sulle emissioni in vigore, in effetti, le critiche agli inceneritori sono di varia natura: il punto principale, come segnala Greenpeace, è che la parte di rifiuti che non si ritrova in uscita (sotto forma di ceneri) viene comunque emessa nell’atmosfera nel corso del processo di incenerimento. Tra le sostanze chimiche in uscita dal camino di un inceneritore ci sono : composti organici del cloro (diossine, furani, PCB – policlorobifenili), IPA (idrocarburi policiclici aromatici), VOC (composti organici volatili), elementi in traccia (piombo, cadmio e mercurio), acido cloridrico, ossidi di azoto, ossidi di zolfo e ossidi di carbonio.

L’accusa degli ambientalisti è che – a prescindere dai limiti legislativi – alcuni degli inquinanti, come le diossine e i furani, siano innanzitutto dannosi per le salute umana perché cancerogeni e altamente tossici. Inoltre, i problemi sarebbero anche per l’ambiente in generale, perché le sostanze contaminanti emesse da un inceneritore per via diretta o indiretta sono ritenute inquinanti per l’aria, il suolo e le falde acquifere, anche a bassa concentrazione. Un’altra accusa è di carattere più pratico: poiché la costruzione di un impianto di incenerimento richiede diversi anni di lavoro (almeno 4-6 anni),  non possono essere considerati una soluzione all’emergenza rifiuti.

Eppure, nonostante questa mole di accuse e perplessità, la termovalorizzazione dei rifiuti è una realtà consolidata nel nostro Paese, come tratteggia un rapporto Enea: al 31 dicembre 2010 si contavano sul territorio nazionale 53 impianti d’incenerimento dei rifiuti urbani (50 dei quali effettivamente operativi nel corso del 2010), dotati di 102 linee e di una capacità complessiva di trattamento pari a 7.123.316 tonnellate/anno (21.693 tonnellate/giorno), con una capacità termica di 2.925 MW e una potenza elettrica installata di 783 MW. Di questi, 29 impianti (con 59 linee) erano dislocati nelle regioni del Nord, 15 (23 linee) in quelle del Centro e soltanto 9 (20 linee) in quelle del Sud e Isole.


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L'autore

Gianluigi Torchiani

Giornalista classe 1981, cagliaritano doc ormai trapiantato a Milano dal 2006. Da diversi anni si interessa del mondo dell’energia e dell'ambiente, con un particolare focus sulle fonti rinnovabili


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