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Largo ai “nuovi”, ma la prima generazione resiste ancora | Tekneco

Tekneco #15 - Innovazione

Largo ai “nuovi”, ma la prima generazione resiste ancora

I tradizionali pannelli in silicio dominano ancora la scena per ragioni economiche. Ma la strada verso il solare del futuro è già tracciata

Scritto da il 19 giugno 2014 alle 7:30 | 0 commenti

Largo ai “nuovi”, ma la prima generazione resiste ancora

Il fotovoltaico è cresciuto molto in questi ultimi anni, ma non ha ancora risolto il suo gap storico da un punto di vista tecnologico con le altre forme di generazione fossile. Il problema riguarda la resa dei pannelli o, meglio, il loro rendimento: con questo termine si fa riferimento alla efficienza di conversione dei moduli, intesa come il rapporto tra energia complessivamente incidente sulla superficie del modulo ed energia elettrica che viene resa disponibile per essere inviata all’inverter, a livello del quale esistono, poi, ulteriori perdite di conversione dell’energia elettrica. Dunque, un modulo con una maggiore efficienza è quello che riesce a produrre un maggiore quantitativo di energia elettrica a parità di superficie; quindi, maggiore efficienza vuol dire anche meno superficie necessaria per i moduli e minore materia prima di partenza. Proprio con l’obiettivo di aumentare questi rendimenti, laboratori e scienziati di mezzo mondo sono da tempo al lavoro. Infatti, praticamente ogni giorno, con una rapida occhiata sul web, è possibile imbattersi in una miriade di ricerche scientifiche e sperimentazioni che riguardano i pannelli: materiali innovativi, semiconduttori alternativi, ecc, la varietà è tale da perdersi, anche perché le “bufale” abbondano. Inoltre, al momento, i tradizionali moduli di prima generazione, in silicio poli e mono cristallino, si fanno ancora preferire proprio come rendimenti rispetto a quelli di seconda (film sottile, al Silicio amorfo, tellururo di Cadmio) e terza generazione (materiali organici). È dunque necessario fare un po’ di chiarezza sulle reali prospettive future di questa tecnologia, chiamata a dare un significativo apporto allo sviluppo delle rinnovabili su scala globale anche nei prossimi decenni. Come spiega Lorenzo Colasanti, ricercatore dell’Energy & Strategy group del Politecnico di Milano, sono in realtà due le grandi famiglie di fotovoltaico oggi presenti sul mercato: il fotovoltaico vero e proprio e quello a concentrazione. Il principio base di funzionamento è il medesimo, ossia lo sfruttamento dell’effetto fotovoltaico che consente, tramite la sovrapposizione di strati di materiale semiconduttore, di convertire la radiazione solare in elettricità. L’onda elettromagnetica favorisce lo sviluppo di corrente elettrica tra gli strati, che viene raccolta tramite un opportuno sistema di contatti elettrici e convogliata, tramite junction box, all’inverter che provvede alla trasformazione in corrente alternata, finalizzata all’utilizzo o all’immissione in rete. Nel primo caso la radiazione solare investe direttamente la superficie del modulo e dunque delle celle di silicio, con una determinata frequenza d’onda, dipendente dalla giornata (nuvolosa o meno), dalla latitudine specifica e dalla posizione del sole in una determinata ora.

Nel fotovoltaico a concentrazione, invece, vengono utilizzate ottiche (lenti) per la concentrazione della radiazione luminosa su una determinata superficie, con il duplice scopo di amplificare l’effetto della luce diretta e di concentrare la stessa quantità di energia su una minore superficie, risparmiando così sulla materia prima di base, costituita dal materiale semiconduttore. “Data la complessità, il costo e l’affidabilità dimostrata nel tempo, la tecnologia tradizionale risulta ad oggi la più diffusa a livello globale, con un’incidenza sulle installazioni complessive superiore al 90%. Per contro, la tecnologia a concentrazione, potendo sfruttare celle multigiunzione, cioè sovrapposizione di più strati di materiale semiconduttore (fino a 4 strati), consente di ottenere efficienze molto maggiori per i moduli, fino a circa il 37% (dato di fine 2013) contro un valore di circa il 21% per i moduli tradizionali. Sono necessarie, però, zone a elevata radiazione diretta durante molte ore all’anno (per intenderci, in Italia, solo la Regione Sicilia presenta, a conti fatti, le condizioni soddisfacenti per l’applicazione), nonché opportuni sistemi di raffreddamento dedicati”, spiega il ricercatore del Politecnico di Milano. Due sono le linee di ricerca principali che al momento interessano il mondo del fotovoltaico. Innanzitutto, l’individuazione di materiali semiconduttori alternativi al silicio, che consentano una produzione su scala industriale sostenibile da un punto di vista di continuità della fornitura e dei costi di produzione, al fine di abbattere il costo di produzione dell’energia da fonte fotovoltaica, principalmente legata al costo di installazione. Da qui hanno origine tutti i vari progetti di ricerca sulle celle organiche, tra cui ultimamente una ricerca dell’università di Roma Tor Vergata. L’altra strada è quella dell’ottimizzazione delle performance delle tecnologie esistenti, tramite innovazioni incrementali in termini di performance e costi di produzione dei moduli di prima, seconda e terza generazione e il miglioramento del rapporto costi/performance delle tecnologie produttive avanzate quali quelle del fotovoltaico a concentrazione (HCPV). Chi investe di più nel solare del futuro? “Storicamente la Germania, il Giappone e gli Stati Uniti sono quelli che hanno investito in maniera più consistente sugli aspetti di natura tecnologica. Più recentemente anche le nuove potenze dell’economia asiatica, India, Cina, Corea, hanno approcciato in maniera strutturale la tecnologia del fotovoltaico, focalizzandosi, però, prevalentemente sulle ottimizzazioni del processo produttivo, con l’obiettivo di abbattere i costi di produzione e rendere a tutti gli effetti la tecnologia più competitiva. In questo senso questi nuovi Paesi stanno investendo molto sulle tecnologie di produzione, quali il taglio dei wafer per la realizzazione delle celle e l’assemblaggio automatico dei moduli, cercando di limare ulteriormente i costi industriali, peraltro estremamente più competitivi rispetto alle imprese americane ed europee grazie agli ingenti risparmi sul costo del lavoro”, spiega Colasanti. Eppure il fotovoltaico tradizionale per ora resta dominante sui mercati. Neppure il film sottile, considerato alcuni anni fa la tecnologia emergente per eccellenza, sembra per ora aver avuto molta fortuna. L’ampia disponibilità di moduli di prima generazione, con una catena di fornitura molto più sviluppata, ha finito per mettere a dura prova la sopravvivenza di gran parte dei produttori che avevano investito su questa tecnologia di seconda generazione, meno matura e costretta a confrontarsi nel corso del 2011 e del 2012 con un ribasso di prezzo a dir poco drastico. Pochi grandi produttori di film sottile sono “sopravvissuti” a livello globale: tra questi c’è l’americana First Solar, uno degli operatori numero uno al mondo che però, oltre alla produzione dei moduli, si occupa anche della fase di installazione dell’impianto finito. Per il futuro, secondo Colasanti, con la stabilizzazione dei prezzi, conseguente anche alle misure anti-dumping adottate a livello internazionale da diversi Paesi, come Usa o Europa, ci potrà comunque essere ancora spazio per la tecnologia thin film, che potrà avere il tempo di raggiungere una maggiore maturazione dal punto di vista dei costi di produzione.

Anche il fotovoltaico di prima generazione è però ancora impegnato nel raggiungimento della grid parity, ossia la piena competitività di costo con le fonti energetiche tradizionali. Secondo diversi studi, il 2030 potrebbe essere l’anno in cui le rinnovabili come eolico e fotovoltaico saranno effettivamente più convenienti delle fossili. Tuttavia, secondo la visione dell’Energy & Strategy Group, il confronto non va fatto tra le singole tecnologie di generazione, quanto invece con il costo per l’acquisto della stessa dalla rete (che comprende anche tasse e imposte statali), che rappresenta il vero parametro benchmark per la definizione del raggiungimento della grid parity. Soprattutto nelle regioni del Sud Italia una condizione del genere può dirsi raggiunta, poiché la produzione annua presenta un costo inferiore rispetto all’acquisto della stessa dalla rete; diverso il caso di alcune zone del Centro e del Nord, per le quali risulteranno necessarie e prossime, ma non necessariamente immediate, riduzioni nel costo stesso della tecnologia. Inoltre, per alcuni mercati, quali quello europeo, il fotovoltaico non potrà prescindere da una reale integrazione con le reti esistenti. “Ovviamente per rendere percorribile un reale e sostenibile (dal punto di vista economico e infrastrutturale al contempo) sviluppo di un paradigma di produzione (e consumo) di energia a livello locale e distribuito, risulta imprescindibile per la fonte fotovoltaica sapersi interfacciare non più soltanto con la rete di trasmissione, ma con apparati di consumo (carichi domestici o industriali) e sistemi di misura e stoccaggio dell’energia. Indubbiamente, dato il grado di penetrazione delle rinnovabili – e in particolar modo del fotovoltaico -, nel nostro Paese sussistono oggi tutte le condizioni per cui possa rappresentare un banco di prova per best practice e sperimentazioni di soluzioni tecnologiche (ad esempio sistemi di storage elettrico e smart meter), nonché di modelli di adozione (vedi S3u), superando le barriere di natura economica (quali ad esempio il costo degli accumuli elettrici) e organizzativo/legislativo, in termini di sistemi di condivisione e consumo di energia”, spiega Colasanti. In conclusione, la ricerca nel fotovoltaico è attiva e sviluppata ma, al momento, grandi rivoluzioni all’orizzonte non se ne vedono. Tutti i soldi investiti nell’incentivazione pubblica del fotovoltaico, che avrebbero dovuto aiutare lo sviluppo di questa tecnologia, sono stati allora inutili? “Nel caso dell’Italia, molte risorse economiche avrebbero potuto essere calmierate su un orizzonte temporale maggiore, in maniera più oculata e regolare, tale da favorire sia un più graduale sviluppo tecnologico che la definizione di una consolidata filiera industriale, in grado di raggiungere, eventualmente, anche le sfide del mercato internazionale, che è stata e rimane una delle principali barriere per la nostra industria fotovoltaica. Per contro, senza l’esperienza italiana e tedesca molte imprese (anche e soprattutto colossi internazionali) non avrebbero potuto comprendere e interpretare in maniera oculata il mercato internazionale e disporre delle competenze e conoscenze chiave per sviluppare al meglio una tecnologia estremamente semplice, ma al tempo stesso fortemente immatura solo fino a 4 anni fa, come quella fotovoltaica”, conclude Colasanti.

Organico

A Roma si sperimenta il fotovoltaico ibrido
Anche nel nostro Paese la ricerca sul fotovoltaico è molto attiva. Lo dimostra una ricerca svolta dal team del Polo Solare Organico-Regione Lazio (Chose), che ha realizzato il primo modulo al mondo, in scala reale, di fotovoltaico con perovskiti ibride organiche/inorganiche. Le perovskiti sono dei composti con una struttura cristallina particolare, che può ospitare molti elementi diversi; questa flessibilità le rende utilizzabili per una varietà di applicazioni. “Il fotovoltaico con perovskiti ibride – ha spiegato Aldo Di Carlo del Dipartimento di ingegneria elettronica dell’Università Tor Vergata – rivoluzionerà il modo con cui verranno prodotte celle e moduli fotovoltaici nei prossimi anni. Queste perovskiti ibride si presentano come degli inchiostri che possono essere facilmente depositati tramite le convenzionali tecniche di stampa. Dunque una tecnologia molto semplice che permetterà una sostanziale riduzione del costo dell’energia prodotta dal fotovoltaico”. Mentre sinora questo minerale era servito soltanto a realizzare celle di piccolissime dimensioni, il Chose è recentemente riuscito a costruire un modulo fotovoltaico funzionante con dimensioni paragonabili alle convenzionali celle al silicio. Sostanzialmente, il lavoro dei ricercatori laziali è stato quello di trovare soluzioni ingegneristiche per passare da una cella di piccolissima area a un modulo reale di dimensioni di oltre 20 cm2, dove le celle sono connesse tra di loro per aumentare la tensione prodotta. Il modulo fotovoltaico prodotto è stato realizzato “stampando” i vari strati di materiale, semplificando notevolmente il processo di fabbricazione. Ovviamente, questo primo prototipo non garantisce risultati clamorosi in termini di rendimenti: l’efficienza è del 5,1%, ossia più o meno un quarto dei migliori pannelli al silicio oggi in commercio. Eppure, secondo i ricercatori romani, il margine di miglioramento dei perovskiti ibridi è notevole, considerato che le celle di piccolissima area possono arrivare anche al 16% di efficienza. Dunque il traguardo del 20% (ottenuto dai tradizionali moduli in silicio dopo anni di sviluppo) sembra a portata di mano.

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L'autore

Gianluigi Torchiani

Giornalista classe 1981, cagliaritano doc ormai trapiantato a Milano dal 2006. Da diversi anni si interessa del mondo dell’energia e dell'ambiente, con un particolare focus sulle fonti rinnovabili


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