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La quantistica punta a catturare la luce solare | Tekneco

Progetto di ricerca

La quantistica punta a catturare la luce solare

Dietro le quinte di Quentrhel, il progetto italiano per comprendere e utilizzare i meccanismi di base della fotosintesi

Scritto da il 29 febbraio 2012 alle 8:30 | 0 commenti

La quantistica punta a catturare la luce solare

Dove guarda l’energia del domani? Alle piante. Non tutti forse sanno che la fotosintesi è il più grande processo di conversione energetica sulla Terra. Sì, proprio così, il processo utilizzato dalle piante per vivere è alla base di una potenziale rivoluzione del sistema energetico mondiale che potrebbe decretare in un futuro non troppo lontano il passaggio da una civiltà ancorata per buona parte ai combustibili fossili a una che sfrutta energia pulita e rinnovabile per soddisfare le proprie esigenze.
Allo stato attuale il mondo della ricerca ci sta lavorando a fondo con svariati progetti: tra questi, l’esempio forse più famoso è quello condotto da Daniel Nocera presso il Massachusetts Institute of Technology (universalmente noto come MIT) di Boston, dove si è creata una ‘foglia artificiale’ in grado di scindere l’acqua in idrogeno e ossigeno con cui produrre poi energia elettrica.
Ma di recente è giunta la notizia di un altro progetto destinato a far parlare di sé. Si chiama Quentrhel, è stato recentemente finanziato dalla Commissione Europea con un milione e mezzo di euro nell’ambito del programma comunitario ERC-Starting Grants, verrà avviato ufficialmente il primo marzo e verrà coordinato da una giovane ricercatrice italiana, Elisabetta Collini, operativa presso il dipartimento di Scienze Chimiche dell’Università degli studi di Padova.

Obiettivo: catturare la luce

Il progetto, come ci spiega proprio la coordinatrice del progetto, “si occuperà di studiare meccanismi e dinamiche di trasferimenti di energia in sistemi artificiali. Si tratta di uno studio il cui scopo è di realizzare e mettere a punto tecniche spettroscopiche innovative per caratterizzare in modo più completo ed esaustivo quella prima fase del processo di fotosintesi denominata light harvesting con cui le piante verdi raccolgono l’energia solare e la convogliano in modo efficiente e veloce ai centri di reazione dove poi avviene la fotosintesi. Da questo step passeremo poi allo studio di materiali artificiali che imitano quelli naturali, ma che sono più fruibili.
Ma qual è stata l’idea che ha dato poi vita al progetto? “Direi proprio l’osservazione del processo in natura – spiega la ricercatrice – Ho avuto modo di studiare la fase di light harvesting (LH) analizzando una proteina biologica estratta da alghe che vivono su fondali marini profondi. Ho potuto appurare che in questi organismi la cattura energetica non avviene secondo meccanismi legati alla fisica, ma secondo meccanismi quantistici che, a mio parere e anche secondo gli altri colleghi che hanno contribuito allo studio, potrebbero contribuire non solo a una maggiore efficienza rispetto ai sistemi naturali ma anche a spiegare in modo chiaro ed esaustivo come questi ultimi possano controllare il processo di fotosintesi e di raccolta energetica. Da quest’idea si è così passati a vedere come riprodurre artificialmente sistemi in grado di ricreare tali processi artificiali e ingegnerizzarli”.
Si diceva all’inizio dei diversi studi condotti a livello globale per sfruttare appieno le potenzialità del processo foto sintetico per scopi energetici. Proprio come quello condotto dal MIT: “la ricerca portata avanti dal professor Nocera va considerata una fase successiva a quella su cui si concentrerà invece QUENTRHEL”, spiega Collini. Successiva ma non certo meno importante: tutt’altro, sottolinea la scienziata: “se con il progetto che condurrò, per esempio, scoprissi una struttura particolarmente efficiente per catturare energia e trasferirla in maniera più efficiente ed efficace è chiaro che ciò fornirebbe un presupposto per creare connessioni con il progetto del MIT, per migliorare le performance della ‘foglia artificiale’”.
Non solo: l’interesse verso il LH è motivato anche dal fatto che la comprensione del processo naturale può essere di grande ispirazione per nuove applicazioni tecnologiche, per esempio nei campi dell’energia fotovoltaica, delle celle a combustibile e dei sensori.

Come si articola Quentrhel

Veniamo ora a come si strutturerà il progetto. Partendo dalle tecnologie necessarie, si farà uso di un laser amplificato ultraveloce in grado di dare impulsi di 100 femtosecondi (vale a dire milionesimi di miliardesimi di secondo) e una serie di dispositivi ottici per piegare la luce e allestire la tecnica spettroscopica in modo da colpire le molecole e studiare le variazioni energetiche che avvengono intorno. “La tecnologia in realtà non è particolarmente innovativa, dato che esiste da circa 30 anni – ammette Collini – È però innovativo il set up sperimentale che noi costruiremo utilizzando questa sorgente laser cioè creare sistemi di eccitazione dei materiali tramite questa luce laser che ci permettano di poter ottenere evidenze sperimentali su questi processi in modo dettagliato, cosa che finora non è stato ancora possibile”.
Venendo invece al team che lavorerà sul progetto, sarà costituito “da 4/5 persone, me compresa, si comporrà da due dottorandi e due altri provenienti dal post-dottorato” spiega la coordinatrice, sottolineando che l’area di studio da cui proverranno sarà presumibilmente la chimica (come Collini) e la fisica.
La fase di studio durerà come detto cinque anni. Ma terminato questo progetto cosa avverrà? “L’ottenimento del fondo europeo ha facilitato la possibilità di mettersi in contatto con altri gruppi europei ed è questo l’obiettivo post quinquennale: poter stabilire e consolidare rapporti con questi gruppi e ottenere altri finanziamenti per portare avanti la ricerca”.

“Fare ricerca in Italia si può”

Già, la ricerca: di solito quando se ne fa riferimento in Italia è sempre in modo pessimistico quanto alle prospettive e purtroppo richiama anche il tema della “fuga dei cervelli” (sono circa 60mila gli under 40 che lasciano l’Italia ogni anno)… Cosa ne pensa una giovane ricercatrice italiana della situazione italiana? “Innanzitutto ci tengo a dire che non mi sono mai sentita un cervello in fuga: mi sono recata all’estero per completare la mia formazione come ricercatrice. L’Italia offre un’ottima formazione universitaria e un ottimo livello di preparazione che ho potuto confrontare positivamente con altri colleghi all’estero. Sono tornata a Padova perché qui c’è un ottimo ambiente, molto stimolante dove poter fare bene ricerca. Riguardo al discorso finanziamenti, in Italia è più difficile ottenerne tanto che mi sono rivolta all’Unione europea; il mio progetto è quinquennale e questo significa porsi degli obiettivi molto ambiziosi, a lungo termine e questo non trova riscontro nei finanziamenti italiani che richiedono risultati più a breve termine. Detto questo, ribadisco che fare dell’ottima ricerca in Italia è possibile”.


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L'autore

Andrea Ballocchi

Andrea Ballocchi, giornalista e redattore free lance. Collabora con diversi siti dedicati a energie rinnovabili e tradizionali e all'ambiente. Lavora inoltre come copywriter e si occupa di redazione nel settore librario. Vive in provincia di Milano.


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