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Illimitatezza del sapere per contrastare il limite delle risorse | Tekneco

strategie di resilienza

Illimitatezza del sapere per contrastare il limite delle risorse

Serve un progetto a tre livelli: collaborazione, resilienza e innovazione

Scritto da il 11 aprile 2015 alle 8:00 | 0 commenti

Illimitatezza del sapere per contrastare il limite delle risorse

Questo intervento prende spunto dall’alto saggio di disoccupazione nel settore della progettazione, dalla sua concentrazione, in quelli che si possono definire gli hub della disoccupazione, gli ordini professionali e cerca di definire traiettorie per un ampliamento del dialogo, in questo caso con i paesi del Mediterraneo, quale strumento per la ripresa dello sviluppo e (forse) anche dell’occupazione. Riconduco questa situazione a tre eventi: il messaggio di Indira Gandhi alla Conferenza di Stoccolma del 1971 sullo Sviluppo umano: “La peggior forma di inquinamento è la povertà”; la prima Biennale di Architettura di Venezia (1980) in cui Paolo Portoghesi sintetizza mirabilmente lo spazio del progetto con “La strada nuova” alle Corderie dell’Arsenale, la quale è segnata da spazi di flusso (la strada) e di riflessione (le piazze), che sarebbero sterili senza lo spazio dinamico di coesione rappresentato dal Teatro nel mondo di Aldo Rossi, che salpa da piazza San Marco verso Sarajevo; il grande tsunami dell’educazione, come lo definisce il Rettore di Harvard in un articolo sul Financial Times (14 agosto 2012), ossia l’ondata di innovazione, che investe le strutture universitarie con la rivoluzionaria formula dei MOOC, ossia dei corsi universitari a distanza, offerti gratuitamente. Gli effetti di questi eventi è leggibile anche nei paesi del Mediterraneo, dove il tema del contrasto alla povertà è centrale, così come quello dell’esigenza di un intenso flusso di scambio fra culture diverse e lo tsunami dell’educazione si manifesta con la presenza di operatori innovativi e inusuali, come ad esempio la General Electric, che gestisce la riconversione delle città degli Emirati, proponendo come strutture primarie per lo sviluppo urbano forme innovative di ‘piattaforme’ del sapere, quelle piattaforme promosse dall’UE ed accolte con distacco dal nostro ambiente culturale, professionale e produttivo. La mia riflessione di conseguenza dà centralità all’emergenza dell’alto saggio di disoccupazione, specie giovanile, nel tentativo di individuare un modello, una “piattaforma, che permetta di dialogare-esportare la nostra cultura, i nostri servizi, nella sostanza la nostra città ripensata/rigenerata per coniugare il progetto con nuova occupazione, secondo un’idea generativa del progetto stesso. E la mia riflessione intende richiamare anche il problema della gestione (difficile) del rapido ciclo di innovazione e di trasformazioni scientifiche e sociali, di cui abbiamo codificato le caratteristiche, ma non abbiamo saputo trasformare in un nuovo modello di sviluppo, da qui l’utilità di lavorare sul progetto più come metodo che come “prodotto”.

SULL’ALTO SAGGIO DI DISOCCUPAZIONE

È un evento da lungo atteso. Esso fu previsto dagli economisti classici da Ricardo (all’inizio dell’800 egli proponeva la pessimistica visione che la scarsità di terra ed il saggio decrescente dei ritorni avrebbero inevitabilmente compromesso il futuro), a Marx (con la caduta tendenziale del saggio di profitto), a Keynes (negli anni ‘30, nel saggio “Le possibilità economiche dei nostri pronipoti” sosteneva la tesi del collasso della creazione di ricchezza e declino del capitalismo a favore di comunitarismo e egualitarismo).L’ambiente di tale collasso annunciato è un mondo in cui l’accumulazione era esclusivamente di capitale fisico, dominato dalla simmetria fra bisogni e prodotti, un modello destinato alla crisi per i saggi di rendimento decrescenti di capitale e lavoro. In questa visione la filiera edificio-infrastruttura- architettura aveva/ha un ruolo centrale. L’antidoto data dalla fine degli anni ‘60 grazie al pensiero di Solow e Jane Jacobs. Solow rileva come la crescita sia generata per l’80% dal progresso tecnologico, che nel modello economico neoclassico veniva considerato esogeno all’impresa; Jane Jacobs osserva che il fattore esogeno progresso tecnologico è il risultato della concentrazione/ sinergia fra risorse umane, quindi la metropoli è il più importante generatore di sviluppo, in quanto capace di connettere ed espandere un grande numero di capacità. Il modello di Solow ha subito continui sviluppi fino ai giorni nostri, il più importante è quello di Romer, il quale ribadisce l’esigenza di internalizzare la creatività nei processi produttivi, in quanto bene illimitato e non competitivo con altre risorse. Il ciclo di pensiero avviato da Solow fino a Romer segna l’inizio del modello di accumulazione (e di progettazione) contemporaneo, dove le risorse umane sono la forze guida, e la loro efficacia dipende dal livello di sapere e creatività. In tale modello il capitale fisico diventa un elemento strumentale per la crescita delle risorse umane e la grande città è l’incubatore del nuovo sviluppo per la sua capacità di concentrare risorse umane. Fine dell’ideologia della progettazione urbana come ancillare al solo sviluppo del capitale fisico e al suo controllo, inizia l’epoca della progettazione strumento per generare nuova ricchezza, a supporto dei processi creativi. Il progetto vive dalla capacità di importare nella città nuovi saperi, nel gestirli in rete e nel saperli esportare. Fine della pubblica amministrazione e degli strumenti urbanistici tesi al preminente controllo delle risorse fisiche, lunga vita all’amministrazione motore della tripla elica: ossia le relazioni con il mondo della ricerca, delle imprese, della comunità. L’attività preminente delle amministrazioni non è promuovere piani ma piattaforme. In questo mondo l’architettura deve essere consapevole dell’esigenza di superare l’epoca del lavorare esclusivamente con il fattore limitato terra per manipolare contemporaneamente atomi e bit, a supporto di processi creativi in rete. La missione dell’architettura non è quella di celebrare i fasti di chi ha già accumulato ricchezza, ma di produrre infrastrutture capaci di attrarre nuova creatività e modelli di intervento esportabili, per generare nuova occupazione.

SUL CICLO DI INNOVAZIONE

Il bilancio della crescita delle risorse umane in questi 40 anni è segnato da una serie di eventi importanti, alla fine dell’evoluzione del progetto. A questo proposito vale la pena di ricordarne alcuni. L’invenzione delle macchine per assistere la progettazione, l’Architectural machine di Negroponte e del suo Media Lab, che hanno dato il via all’era del computer moderno e della cibernetica. L’invenzione delle macchine miniaturizzate e multifunzionali che hanno segnato il definitivo declino delle esomacchine ingombranti dell’epoca industriale, per arrivare alle quotidiane proposte di micro macchine incorporate nel corpo umano e negli oggetti, che danno colpi sostanziali ai processi tradizionali di ideazione degli edifici e dei prodotti. Le macchine biologiche, che prendono il via con il riconoscimento del genoma umano, con le quali inizia l’epoca della progettazione ‘antropocenetica’, ossia guidata dalle leggi della natura. E, infine, la connettività a tutti i livelli: tra persone ed oggetti, che avvia una nuova generazione di relazioni sociali e di sviluppo produttivo. Ma questi prodotti della cultura creativa vanno visti in sinergia: uno, con l’enorme crescita della popolazione; due, con il tendenziale esaurimento delle risorse ed il deterioramento dell’ambiente; tre con la straordinaria velocità con cui si manifestano processi innovativi; quattro, con una radicale evoluzione dei modelli organizzativi del progetto; e, cinque, conla grande opportunità del dilatarsi dei mercati. Questi processi innovativi ispirano un modello di progetto antropocenetico in cui i materiali del progetto non sono solo atomi – elementi fisicima anche bit -connettività e dematerializzazione. Le principali caratteristiche del modello è che esso è antropocenetico, occorre progettare in coerenza con le regole del capitale naturale. Di conseguenza il progetto non riguarderà più solo le superfici, ma anche le risorse sopra e sotto la terra. Il progettista da chirurgo plastico dovrà essere anche internista; il suo metodo di lavoro si baserà sulla sinergia con il metabolismo delle risorse, l’energia sarà la sua unità di misura, l’impronta ecologica il suo limite, i targhet delle convenzioni internazionali sull’ambiente le funzioni obiettivo.

PROCESSO DI GOVERNANCE APERTO, RESILIENTE ED EQUO

Il processo di governance sarà teso a generare nuove opportunità ai cittadini, in questo supportato dalle nuove tecnologie, esso sarà attrattivo, una continua “caccia al tesoro” alimentata dall’intelligenza e la creatività della comunità.

RIPENSARE IL CAPITALE ED I FLUSSI FISICI

Si è detto nei punti precedenti come il ruolo del capitale fisico nel processo di sviluppo sia mutato rispetto alle teorie economiche classiche e neoclassiche, una trasformazione cui ha grandemente contribuito il progresso tecnologico. Si sottolinea ora come il progresso tecnologico, soprattutto grazie alla cibernetica, abbia dato al progetto fisico un significato proattivo: con i progetti di Cedric Price Fun Palace e Pottery Belt il computer permette il passaggio da un’architettura passiva ad una proattiva, in sinergia con il sistema di preferenze degli utenti oggi, con la proliferazione dei mini strumenti telematici che generano uno sprawl delle opportunità localizzative al progetto è assegnato il ruolo di essere ricompositivo, di rigenerare un centro che contrasti la polverizzazione della città e delle relazioni frutto delle nuove tecnologie. In sintesi la sinergia tra le opportunità della connessione e delle realizzazioni biologiche, ha trasformato la “machine à habiter”, in macchina per abitare, lavorare, divertirsi, produrre energia, produrre cibo, insomma in una moderna arca di Noè o nella moderna navicella spaziale preconizzata da Bulding

AUMENTARE IL CAPITALE UMANO

È lo scopo del progetto e la condizione che porta a giustificare gli attuali e futuri manufatti e infrastrutture. L’interdipendenza fra crescita del capitale umano e realizzazione di manufatti implica una serie di innovazioni nell’organizzazione del p r o c e s s o progettuale, a causa delle rapide trasformazioni sociali, tecnologiche e ambientali. L’organizzazione del progetto è riconducibile a tre strati, che nell’immagine sono così sintetizzati: quello centrale, la piattaforma collaborativa, costituita dagli organizzatori della produzione di idee; quello superiore, la piattaforma della resilienza, dove si concentrano i supporti “hard” per produrre le idee; quello inferiore, la produzione di innovazione, composta dalla molteplicità di contributi progettuali facilitati dalla disponibilità delle nuove infrastrutture: la piattaforma collaborativa, la piattaforma della resilienza. La piattaforma collaborativa. Essa fa riferimento ai 10 punti dell’open innovation proposti dall’UE, di conseguenza la progettazione è attivata da una piattaforma “aperta”, promossa dalla pubblica amministrazione, cui partecipano in modo fluido i soggetti della tripla elica: imprenditori, ricerca, rappresentanti della comunità. L’apertura e la fluidità della piattaforma è rappresentata dal nodo di Moebius, in cui nessuno è dentro o fuori, in cui tutti corrono per attivare la “caccia al tesoro” dell’innovazione. L’istituto della piattaforma è previsto dalla legislazione italiana con il “Contratto di rete”, dall’UE (per la quale la piattaforma è obbligatoria per partecipare a gare o finanziamenti), dalle organizzazioni internazionale, in particolare l’ONU, per raggiungere gli standard previsti dalle convenzioni internazionali sull’ambiente. La piattaforma della resilienza. La progettazione deve superare la dimensione artigianale della produzione del progetto al 100% ”in casa” o della produzione “chiusa” nelle società di progettazione, ma deve imparare a sfruttare le nuove infrastrutture dell’open innovation: la cloud, i big data, gli open data. La piattaforma collaborativa non è una condizione sufficiente per generare progetti innovativi, se i suoi promotori non si attivano per realizzare le nuove infrastrutture ‘di base’ necessarie per stoccare, manipolare e fare interagire la conoscenza. E’ questa la nuova frontiera di organizzazione della P.A e degli ordini professionali che da soggetti passivi, la cui missione principale è il controllo, si trasformano in fornitori di strumenti open, nel nostro caso gli archivi dei progetti, la fornitura in rete di software, gli strumenti per il dialogo collaborativo. In tal modo i progettisti sono sgravati dei costi di base della progettazione (ricerca di best practices, archivio dati, archivio software, strumenti per accesso e dialogo in rete) disponendo di un flusso di strumenti erogati grazie alla cloud e alle sue forme organizzative. Questa struttura è denominata “piattaforma della resilienza” perché i suoi strumenti di base permettono rapidità e adattabilità nell’affrontare i cambiamenti che il progettista deve affrontare. La produzione di progetti innovativi. I progettisti, disponendo dell’infrastruttura della piattaforma collaborativa e dei servizi di base della cloud o “piattaforma della resilienza” possono partecipare attivamente alla “caccia al tesoro” della progettazione avendo il vantaggio di dinamici supporti organizzati e di infrastrutture di base che premettono sia di abbassare sensibilmente il costo del progetto, sia di agevolare l’accesso a mercati più ampi di quello locale.

Articolo a firma di Giuseppe Longhi - Docente di Urbanistica presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia

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