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La fonte rinnovabile più contestata | Tekneco

Tekneco #12 – Rinnovabili

La fonte rinnovabile più contestata

Gli impianti a biomasse sono, in Italia, quelli che più patiscono la sindrome Nimby. Ma anche l’Economist ha recentemente attaccato le modalità di funzionamento di questa risorsa

Scritto da il 19 agosto 2013 alle 8:30 | 2 Commenti

La fonte rinnovabile più contestata

Spesso ci si dimentica della ragione che sta alla base del grande sviluppo delle energie rinnovabili, ossia il tentativo di limitare la generazione energetica da combustibili fossili, che rappresenta l’attività umana che più contribuisce al cambiamento climatico.

Considerato che ormai gran parte dell’opinione pubblica è sensibile a questo tema, dovrebbe essere automatico un sostegno trasversale all’installazione di impianti da fonti pulite. L’esperienza e le cronache ci insegnano che, invece, non è così, soprattutto in Italia: secondo quanto segnalato dai dati rilasciati dal Nimby Forum, anche nel 2012, con 222 opere contestate (62,7% del totale), il comparto elettrico è stato il più colpito dalla sindrome Nimby (Not in my back yard). A farne le spese sono stati gli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, a cui sono riconducibili 176 contestazioni sulle 354 totali. In particolare, su 10 impianti di produzione di energia elettrica oggetto di opposizioni, ben 9 prevedono l’uso di energie verdi. I no colpiscono in maniera trasversale centrali di grandi dimensioni ma anche e soprattutto quelli piccoli, cioè di potenza inferiore a 1 MW.

In particolare c’è una fonte più di altre nel mirino dei comitati locali, ossia le biomasse: sulle 176 contestazioni che hanno colpito le energie rinnovabili ben 108 hanno riguardato proprio impianti alimentati a biomasse, molto più di idroelettrico (32) ed eolico (32). Le accuse nei confronti di questa risorsa sono note: secondo Terre Nostre, che rappresenta il coordinamento dei comitati locali, queste centrali non rappresentano soltanto una minaccia per famiglie residenti e le comunità ma anche per l’economia agricola e il paesaggio, a causa dell’incentivo a una monocoltura industriale con largo utilizzo di pesticidi, spreco di acqua di irrigazione e – in prospettiva – di sementi geneticamente modificati. Altri rischi più volte denunciati sono il pericolo di inquinamento delle falde acquifere, le emissioni inquinanti, il rumore, la stessa procedura di autorizzazione delle centrali, vista sostanzialmente come antidemocratica. In una presentazione ufficiale di Terre Nostre sulle biomasse spunta persino l’immagine di Montgomery Burns, il celebre miliardario della saga cartoon dei Simpsons, proprietario di una centrale nucleare perennemente a rischio esplosione e contaminazione.

Oltre agli impianti per la produzione energetica, molte critiche hanno riguardato anche l’utilizzo a livello domestico per il riscaldamento. Nei mesi scorsi ha suscitato scalpore una ricerca presentata dal noto istituto Nomisma energia, secondo cui le biomasse termiche emetterebbero bruciando, anche nelle migliori condizioni, oltre 1.000 volte più particolato fine delle fonti gassose come il Gpl (oltre che Nox e diossina) e ridurrebbero soltanto parzialmente quelle di CO2. Allargando lo sguardo oltre i ristretti confini nazionali si scopre però come il tema della sostenibilità dell’utilizzo delle bioenergie a fini energetici sia ormai pienamente entrato nel dibattito europeo.

Lo evidenzia anche un articolo estremamente critico pubblicato nei mesi scorsi dall’autorevole settimanale britannico The Economist, non certo tacciabile di simpatie nei confronti dell’ambientalismo radicale. L’analisi evidenzia come le biomasse legnose coprano metà del consumo di energia rinnovabile in Europa, tanto che se l’Ue facesse affidamento unicamente sul sole e sul vento mancherebbe di parecchio il raggiungimento degli obiettivi comunitari al 2020 (20% di fabbisogno coperto dalle energie pulite) . Inoltre, a differenza delle nuove centrali fotovoltaiche o eoliche, «l’energia prodotta dalla combustione del legno non è intermittente come quella ottenuta dal sole e dal vento: non richiede una risorsa combustibile di scorta per la notte o nei giorni in cui non tira vento. Dato che il legno può essere utilizzato in centrali elettriche alimentate a carbone che altrimenti in base ai nuovi parametri ambientali avrebbero dovuto essere chiuse, è molto gradito alle compagnie elettriche», scrive l’Economist.

Il settimanale inglese fa riferimento poi alle stime di una società canadese, l’International Wood Markets Group, secondo cui nel 2012 in Europa sono state consumate 13 milioni di tonnellate di pellet di legno. A questo ritmo, la domanda del Vecchio Continente aumenterà entro il 2020 tra i 25 e i 30 milioni di tonnellate, in buona parte importati. La domanda retorica che si pone l’Economist è se, dunque, il sistema biomassa europeo possa dirsi efficiente. La risposta è no: «Il legno produce anidride carbonica due volte, nella centrale elettrica e nella filiera di rifornimento. Il processo di produzione dei pellet dal legname comporta diverse operazioni – triturazione, trasformazione in una pasta, pressurizzazione – che richiedono energia ed emettono anidride carbonica. A ciò va poi aggiunto il trasporto: in tutto si parla di due tonnellate di CO2 per fornire 1 megawattora di elettricità. Tutto ciò diminuisce la quantità di anidride carbonica risparmiata passando al legno come fonte energetica e, di conseguenza, aumenta il costo dei risparmi». ?

L’opposizione al biogas nasce dal pregiudizio

La causa primaria che spiega i problemi di accettabilità sociale del biogas è sostanzialmente la scarsa conoscenza del funzionamento di questa risorsa rinnovabile. Ne è convinto Alessandro Massone, amministratore delegato di Austep, società impegnata nella realizzazione di impianti alimentati da sottoprodotti animali e vegetali. Questo tipo di installazioni, secondo il responsabile Austep, non fanno altro che migliorare le condizioni ambientali del territorio, perché tutte le deiezioni e i sottoprodotti dell’agricoltura, lasciati fermentare in maniera incontrollata, produrrebbero naturalmente un metano molto inquinante e maleodorante. Gli impianti a biogas, dunque, si limitano a raccogliere questo gas in condizioni controllate, garantendo la produzione di una risorsa di generazione energetica rinnovabile.

«Ovviamente – spiega Massone – abbiamo avuto a che fare in alcuni casi con la formazione di comitati locali contro il funzionamento dei nostri impianti ma, sostanzialmente, soltanto quando abbiamo avuto problemi di scarsa informazione, legati in particolare alla paura di una fortissima diminuzione del valore economico dell’area che, poi, non si è mai verificata. Quello che facciamo è cercare il dialogo con queste persone, proponendogli di visitare l’impianto sia in fase costruttiva che operativa. Certo, è possibile che anche un impianto di questo tipo, se gestito male, possa dare dei problemi, ma in generale le polemiche non hanno fondamento ».

Diverso è, invece, il discorso per le centrali a biogas alimentate a mais, che però non sono economicamente interessanti con gli attuali incentivi. «Anche per gli impianti alimentati a mais, comunque, si può dimostrare che la quantità di ettari “destinati”al biogas è meno del 3% di quella utilizzata per produrre colture per l’alimentazione umana e animale », aggiunge Massone. Infine, conclude l’ad di Austep, « sono convinto che l’accettabilità sociale del biogas aumenterà in futuro grazie alla diffusione del biometano, perché le persone si accorgeranno di utilizzare gas di origine biologica prodotto a poca distanza dalle proprie case».

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Commenti

Ci sono 2 commenti.

  • luciano guerini
    scrive il 19 agosto 2013 alle ore 17:19

    Veramente un grosso quesito,vorremmo capire dove stà la verità Luciano Guerini by Ventosole Energie Naturali

  • mirco 5 stelle
    scrive il 20 agosto 2013 alle ore 11:13

    dobbiamo sempre ripartire da zero a spiegare ?? ci sono biocombustibili e biocombustibili(II°generazione) che non usano acqua, terreno fertile ne' concimi (prodotti energivori!) ... di base, alghe, sfalci di incolto e reflui...

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L'autore

Gianluigi Torchiani

Giornalista classe 1981, cagliaritano doc ormai trapiantato a Milano dal 2006. Da diversi anni si interessa del mondo dell’energia e dell'ambiente, con un particolare focus sulle fonti rinnovabili


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