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Il mattone cambia marcia e riqualifica l’esistente | Tekneco

Tekneco #14 – Riqualificazione

Il mattone cambia marcia e riqualifica l’esistente

Grande successo del settore della riqualificazione edilizia, che rappresenta ormai il 65% del fatturato complessivo del comparto edile. Le prospettive per il futuro

Scritto da il 04 marzo 2014 alle 8:25 | 0 commenti

Il mattone cambia marcia e riqualifica l’esistente

Riqualificazione è una delle parole “magiche” per uscire dalla crisi. E a ragione. Oggi, infatti, in Italia da riqualificare ci sono molte cose che negli anni passati sono state, per così dire, realizzate in maniera approssimativa. Edifici, quartieri, città, interi territori, siti industriali e grandi tratti di costa sarebbero da riqualificare sotto molti punti di vista, energetico, sismico, ambientale, idrogeologico, ma spesso ciò che manca sono i fondi che oggi sono scarsi.

Ciò produce effetti che sono sotto gli occhi di tutti, ossia: pagare un poco per volta quando si producono i danni, ma con una prospettiva molto più pesante sul lungo periodo, visto che tutte le analisi danno come maggiore la spesa per riparare i danni rispetto a quella della messa in sicurezza preventiva, se ragioniamo su un lungo periodo, come per esempio il 2050.

Si tratta, però, di costi in larga parte differiti che per poter essere affrontati necessitano di una visione ampia e che abbia un orizzonte temporale difficile da trovare sia nella politica, sia nell’imprenditoria odierna, anche questa ormai abituata al “mordi e fuggi” d’origine borsistica, nel quale contano le variazioni del giorno per giorno. Un settore dove la riqualificazione, però, ha dei ritorni molto più brevi e i vantaggi di tale azione sono tangibili è quello degli immobili e della struttura urbanistica delle città.

Si tratta di un segmento nel quale i vantaggi delle operazioni sono misurabili con un’ottima precisione e sono quindi “bancabili”: ossia dovrebbe essere abbastanza facile ottenere finanziamenti. Nel caso dell’efficienza energetica abbiamo due ordini di dinamiche. La prima è rappresentata dalla visione dei singoli soggetti, famiglie, piccole e medie imprese ed enti pubblici, che avendo una proiezione abbastanza concreta sul futuro, se trovano i fondi, sono disponibili a fare investimenti in questa direzione, mentre la seconda è quella che attiene ai decisori politici e alle grandi aziende energetiche che si oppongono, per motivi diversi, a uno sviluppo concreto dell’efficienza, al punto che dei tre obiettivi europei del 20-20-20 al 2020 proprio quello relativo all’efficienza non è vincolante. Il perché di questa opposizione è abbastanza chiaro.

La politica non prende decisioni vincolanti per paura di dover mettere in campo decisioni “impopolari” sul breve periodo – un esempio per tutti, l’obbligo di installazione per il solare termico che molti comuni hanno ripreso dall’ordinanza solare di Barcellona in Spagna “dimenticandosi”, però, il capitolo sulle sanzioni – mentre le grandi compagnie energetiche sono, chiaramente, preoccupate per il loro business che è sostanzialmente quello di vendere più energia, non meno.

Da alcuni anni sul fronte dell’efficienza energetica è arrivata anche una ventata di novità, rappresentata da un sostanziale miglioramento della logica delle ESCo (Energy Saving Company) che traggono la propria redditività dal differenziale, per un certo periodo, tra i consumi prima dell’efficientamento e quelli dopo, con un meccanismo che, anche se sulla carta è sempre sembrato ottimale, stenta a decollare.

Di recente, infatti, son stati sviluppati negli Stati Uniti dei fondi chiusi d’investimento basati sull’efficientamento energetico di svariate decine di milioni di dollari che si sono guadagnati rating molto alti, di solito AA+, un solo gradino al di sotto della tripla A, e che sono stati collocati a Wall Street in pochi minuti. Si tratta del superamento della logica delle ESCo che sono legate a pochi interventi, mentre nel fondo chiuso possono essere molti gli interventi, con una conseguente diversificazione del rischio, sia per quanto riguarda le soluzioni che concorrono a formare il fondo stesso, sia per quello legato alla volatilità dei prezzi dei carburanti fossili.

Quindi, sul fronte dell’efficienza energetica qualcosa si sta muovendo e andiamo verso una fase di transizione, poiché negli ultimi anni l’energy saving è diventata una leva di mercato che difficilmente potrà essere fermata, poiché una discreta fetta dell’industria la sta utilizzando, incorporandola nei prodotti. Il tipico caso che ha fatto storia è quello dei frigoriferi che dopo decenni di stasi tecnologica a cavallo del millennio, hanno sposato in toto il risparmio energetico, al punto che oggi è difficile trovare un apparecchio frigorifero che non si posizioni almeno in classe A, ma non tutte le aziende agiscono allo stesso modo.

L’industria automobilistica soffre dell’Effetto Rebaund, a causa del quale si inficiano i vantaggi dell’efficienza energetica. Negli ultimi decenni per esempio è migliorato il consumo dei motori endotermici per unità di cilindrata, ma questo vantaggio è stato annullato dall’introduzione di modelli di cilindrata superiore e dall’incremento delle prestazioni.

Per quanto riguarda gli indicatori di mercato della riqualificazione, il recente rapporto “Greenitaly 2013. Nutrire il futuro”, realizzato da Unioncamere e Fondazione Symbola, è chiaro: il settore della riqualificazione si conferma, con il 65% del fatturato complessivo del comparto edile, che vale 115,4 miliardi di euro, l’elemento trainante che impedisce al comparto di sprofondare. La riqualificazione, infatti, ha visto, tra il 2008 e il 2013, un aumento del 12,6% contro il meno 30% di quello edilizio più generale.

E la prospettiva è quella di una crescita al 2020 che lo porterebbe alla quota dell’80%, con una riduzione delle opere murarie a favore delle finiture e dell’impiantistica, settori questi ultimi ad alto valore aggiunto e nel quale l’Italia ha parecchie carte da giocare, sia sul fronte dell’innovazione, sia su quello della qualità, cosa che è confermata dall’aumento delle esportazioni che vedono le aziende dell’impiantistica in pole position.

E si tratterà di un mercato che non può che crescere. Il 70% degli edifici italiani, infatti, è stato costruito prima dell’entrata in vigore delle prime normative sul risparmio energetico, che sono del 1976. Si tratta di 17,6 milioni di appartamenti dei quali almeno un 25% non è mai stato riqualificato, mentre un altro grande mercato è quello dell’edilizia pubblica, circa 85mila edifici, che potrebbero essere riqualificati con 17 miliardi di euro, creando 300mila posti di lavoro, con un ritorno sull’investimento di 750 milioni di euro l’anno, l’abbattimento del 50% della spesa energetica della Pubblica amministrazione e una crescita, grazie all’effetto leva, del 1,45% del Pil.

Per quanto riguarda la riqualificazione edilizia, un ruolo importante lo hanno svolto gli incentivi del 55% (65%) per il versante energetico e quelli del 36% (50%) per le ristrutturazioni ordinarie. A fine 2012, infatti, il volume cumulato delle operazioni ammesse alle detrazioni fiscali era di 128 miliardi di euro, dei quali 60 investiti negli anni della crisi, e a fronte di un mancato gettito Irpef di 31,7 miliardi di euro, lo Stato ha avuto entrate per 49,5 miliardi – composti da Iva, Ires, Irpef e contributi sulle maggiori ore lavorate e sull’emersione dal nero e altre ricadute sull’economia – con un saldo positivo per l’Erario di circa 17 miliardi, senza contare i benefici ambientali e sulla bolletta energetica. E le previsioni per la chiusura del 2013 e quelle per il 2014 sono altrettanto interessanti.

Dai dati Cna-Cresme si stima che la spesa indotta dagli incentivi per ristrutturazione tradizionale ed energetica saranno di 1,7 miliardi di euro per il 2013 e di 1,9 miliardi per il 2014. Ancora una volta gli incentivi, quindi, fanno la differenza. Senza questi provvedimenti, infatti, il mercato 2013 sarebbe calato del 3,5%, mentre, invece, crescerà del 1,1% nel 2013 e del 1,6% nel 2014, generando benefici simili, in percentuale, a quelli che abbiamo visto in precedenza. Certo è il fatto, comunque, che gli incentivi energetici non potranno andare avanti all’infinito, poiché finirebbero alla lunga di drogare il mercato, come è successo con il settore automobilistico.

Una soluzione potrebbe essere quella di stabilizzarli al 2020, ma con una dinamica diversa, articolandoli sia verticalmente, premiando le tecnologie più efficienti con incentivi maggiori, sia orizzontalmente, diminuendoli progressivamente in sincronia con la maturità delle tecnologie fino ad arrivare al livello delle ristrutturazioni ordinarie. Così facendo si indirizzerebbe il mercato verso le migliori tecnologie, accompagnandole nel percorso verso l’equilibrio commerciale, punto d’arrivo di qualsiasi politica industriale.

Oltre a ciò, però, esiste anche il problema dell’accesso al credito, cosa che è complicata dalla situazione congiunturale. Se da un lato, infatti, abbiamo una situazione di basso costo del denaro – teorica -, dall’altro vediamo un calo di fiducia generalizzato, cosa che tiene alti i tassi all’utente finale. Sotto questo profilo sono diverse le soluzioni. La prima è quella dell’ecoprestito, magari erogato da Cassa Depositi e Prestiti, proposta che è nell’aria da alcuni anni, ma che nessuno spinge in maniera significativa, mentre un’altra soluzione potrebbe essere quella di “vendere” soluzioni per riqualificazione all’interno dei mutui per l’acquisto degli immobili che darebbe agli istituti bancari delle garanzie più solide, mentre gli acquirenti non dovrebbero sobbarcarsi l’onere di pratiche aggiuntive e altre ipoteche.

E oltre a ciò ci sono altre due soluzioni. La prima è quella di raggruppare una serie di investimenti in riqualificazione all’interno di un fondo d’investimento, ma è un modello che si può utilizzare con soggetti di medie-grandi dimensioni, mentre la seconda è quella dell’attività dei distributori d’energia anche come ESCo. In questo caso il flusso di cassa sarebbe garantito dalle bollette e qualcosa si sta timidamente muovendo, ma solo a livello di forniture di apparecchi e non con vere e proprie ristrutturazioni energetiche, sia perché probabilmente i distributori energetici sono poco attrezzati per condurre analisi su progetti complessi, che magari necessitano di un audit energetico, sia perché un conto è “finanziare” una caldaia a condensazione, mentre è tutt’altra questione facilitare interventi permanenti che consentono agli utenti di abbattere in maniera definitiva i consumi del 70%.

Potrebbero essere altri soggetti che si occupano di servizi, però, ad attivarsi, come le municipalizzate multiservizi, per le quali magari la fornitura energetica è solo uno dei business, oppure gli istituti bancari attraverso la domiciliazione delle utenze, anche se si tratta di modelli ancora tutti da studiare, poiché concepire tutta una serie di clausole di garanzia in grado di stabilizzare il ritorno dell’investimento sul medio periodo è un lavoro ancora tutto da fare.

Qualcosa si muove anche sul fronte degli enti locali. I comuni stanno sviluppando una serie di buone pratiche per la riqualificazione. Sono oltre mille i comuni che hanno inserito nei loro regolamenti edilizi – il luogo giusto dove mettere le norme per la riqualificazione – criteri e obiettivi energetici-ambientali per migliorare la qualità del costruito. Potrebbero sembrare pochi se rapportati agli oltre 8.000 comuni presenti in Italia, ma bisogna analizzare il trend.

Nel 2012 i comuni che hanno fatto operazioni di questo tipo sono stati il 42,3% in più rispetto al 2010 e l’80% in più se prendiamo come termine di paragone l’anno prima. Quindi, oggi possiamo affermare che sono ben 21 milioni, un terzo della popolazione, i cittadini che vivono in un comune che inizia ad approcciarsi in maniera diversa alla sostenibilità. Si tratta, però, di un fenomeno che si scontra con la realtà del mercato edilizio che vede solo un 1% annuo di nuovo costruito e nel quale la pratica dell’abbattimento-ricostruzione è sconosciuta.

Occorre uno sforzo ulteriore di fantasia amministrativa e ancora una volta possiamo andare all’estero. In Germania, per esempio, non sono poche le municipalità che usano le royalties dei grandi impianti eolici o fotovoltaici per dare incentivi in conto capitale ai propri cittadini che vogliono effettuare interventi d’efficienza energetica, mentre in Gran Bretagna le aziende sono incentivate attraverso sconti sulla contribuzione previdenziale, al fine di far emergere il lavoro nero. I mezzi per la riqualificazione, anche sul fronte della pubblica amministrazione, esistono e funzionano. Basta volerlo fare.

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L'autore

Sergio Ferraris

Sergio Ferraris, nato a Vercelli nel 1960 è giornalista professionista e scrive di scienza, tecnologia, energia e ambiente. È direttore della rivista QualEnergia, del portale QualEnergia.it e rubrichista del mensile di Legambiente La Nuova Ecologia. Ha curato oltre cinquanta documentari, per il canale di Rai Educational Explora la Tv delle scienze. Collabora con svariate testate sia specializzate, sia generaliste. Recentemente ha riscoperto la propria passione per la motocicletta ed è divenatato felice possessore di una Moto Guzzi Le Mans III del 1983.


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