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Finestre “smart” per involucri edilizi innovativi

Con lo scopo di reinterpretare dinamicamente la “trasparenza” del vetro, mirando a farne una proprietà non fissa, ma mutevole, nasce l’ambito di ricerca sperimentale delle “smart windows”

Scritto da il 30 aprile 2015 alle 9:00 | 0 commenti

Finestre “smart” per involucri edilizi innovativi

A cura di

Alessandro Cannavale – assegnista di ricerca (Unisalento – CNR NNL), Pierluigi Cossari – assegnista di ricerca (Unisalento) e Giuseppe Gigli – docente (Unisalento)

La trasparenza delle vetrate garantisce una continua interazione visuale tra spazio confinato e ambiente circostante. Ciò rappresenta innegabilmente una peculiarità del materiale, sotto il profilo estetico e funzionale, consentendo di impiegare la luce naturale come fonte di illuminazione; ma costituisce, troppo spesso, un punto debole dal punto di vista termofisico. Con lo scopo di reinterpretare dinamicamente la “trasparenza” del vetro, mirando a farne una proprietà non fissa, ma mutevole, in relazione alle condizioni esterne di illuminamento, nasce l’ambito di ricerca sperimentale delle “smart windows”. Le quali sono principalmente basate sull’impiego di materiali e dispositivi cromogenici. Si tratta di una particolare gamma di materiali responsivi, in grado di veder mutate delle specifiche caratteristiche cromatiche in ragione della variazione di uno stimolo esterno specifico: elettrico (elettrocromici), luminoso (fotocromici), termico (termocromici). Queste tecnologie consentono di modificare dinamicamente e in modalità adattiva le proprietà di trasmissione del vetro quando viene attraversato da una radiazione elettromagnetica. Come noto, il vetro consente l’attraversamento a radiazioni aventi lunghezze d’onda comprese tra 315 nm e 3000 nm: ossia i raggi UV(A), lo spettro visibile, tra 380 nm e 780 nm, e il vicino infrarosso, tra 780nm e 3000 nm. Al di sotto e al di sopra di tale range, la radiazione viene assorbita dal vetro. S’intende bene come il controllo dinamico del fattore di trasmissione solare sia il principale obiettivo, ad esempio, dei sistemi elettrocromici. I quali consentono di modulare selettivamente le proprietà spettrali, in risposta ad una applicazione di tensione elettrica esterna di preciso valore. Nelle regioni climatiche in cui si abbiano elevati consumi di energia elettrica per via delle elevate superfici finestrate, le tecnologie elettrocromiche, ormai sul mercato, possono offrire una serie di benefici significativi in termini di risparmio energetico, attraverso una modifica del livello di trasmissione visiva. Giova ricordare che specifici studi apparsi in letteratura scientifica hanno dimostrato come i benefici derivanti dal controllo solare di una finestra elettrocromica siano maggiori rispetto alla produzione di energia che si otterrebbe applicando sulla medesima superficie un sistema fotovoltaico, di pari area. Ossia circa 170 kWh/m2anno, alle nostre latitudini. L’entità di tale beneficio può essere amplificata nel momento in cui la strategia di utilizzo del sistema cromogenico, anziché essere affidata all’utenza, possa al contrario essere pilotata in tempo reale dallo spontaneo adattamento delle proprietà spettrali, direttamente collegato alle condizioni ambientali circostanti, in un continuo dialogo tra le grandezze fisiche coinvolte. Lo sforzo della comunità scientifica internazionale, impegnata nella ricerca e nello sviluppo di vetrate smart, è orientato, infatti, al progetto di dispositivi dotati di un carattere di automodulazione cromatica, guidata dalla interazione tra device e radiazione solare incidente, lasciando prefigurare scenari innovativi e sostenibili per gli spazi antropizzati. Soprattutto con riferimento al progetto delle “smart cities”. È ormai verosimile prefigurare uno scenario in cui le vetrature, perso il proprio carattere di fissità estetico-funzionale, acquisiscano specifiche caratteristiche cromatiche in modalità “smart”, o responsiva, attraverso la modulazione di uno stimolo esterno, dietro specifico design. Finestre intelligenti, dunque. Si immagini uno scenario in cui la “pelle” degli edifici, nel corso delle ore diurne, cambi il proprio assetto cromatico, più o meno intensamente, in modo spontaneo, senza la necessità di fonti energetiche esterne di alimentazione, attivando una opportuna schermatura della radiazione solare in eccesso, garantendo, al contempo, una riduzione di carichi termici indesiderati (solar gains) e di garantire idonei livelli di illuminamento indoor. La tecnologia elettrocromica non ha avuto la sperata diffusione a causa degli elevati costi rispetto a una vetratura comune, nonostante gli indiscussi benefici energetici connessi. Uno dei limiti tecnologici può rinvenirsi nell’impiego di elettroliti liquidi, a cui viene affidata la conduzione ionica nell’intercapedine e nella necessità di ottenere la massima compatibilità tra i materiali utilizzati, per garantire il massimo numero di cicli di colorazione/decolorazione, nel tempo. D’altra parte, i risultati incoraggianti e i prodotti attualmente ottenuti in scala laboratorio hanno catalizzato un forte interesse industriale verso la produzione di sistemi scalabili su larga area, per applicazioni nel settore edile e nei settori produttivi che ruotano intorno al comparto del vetro (automobilistico, nautico e aereonautico). In questo scenario, presso il Laboratorio Nazionale di Nanotecnologie di Lecce (NNL), è stato maturato, nel corso degli anni recenti, uno specifico know-how nell’ambito del design e della fabbricazione di device multifunzione “fotovoltacromici”, capaci di generare energia elettrica mediante un film fotovoltaico semitrasparente e, contemporaneamente, di modulare il colore della vetrata a seconda dei vari stadi di intercalazione di piccoli cationi, la cui mobilità viene garantita da un accorto design del materiale elettrolitico impiegato. Le attività in corso presso NNL sono rivolte alla realizzazione di dispositivi cromogenici a stato completamente solido, in grado di modulare il proprio colore – o trasparenza – in risposta a uno stimolo esterno, di natura elettrica. Sono attualmente sperimentati, nel gruppo di ricerca del Prof. Giuseppe Gigli, materiali e dispositivi per il design e la fabbricazione di dispositivi multifunzione (fotovoltaici/elettrocromici), in grado di abbinare i più recenti risultati ottenuti nei dispositivi fotovoltaici perovskite-based trasparenti a sistemi elettrocromici basati su membrane ad elevata conduzione ionica dotate di elevate performance e stabilità elettrochimica. Nel medesimo ambito, è stata creata una stretta collaborazione scientifica con il gruppo del Prof. Henry Snaith, del Dipartimento di fisica dell’università di Oxford. L’attività svolta, dal forte carattere multidisciplinare, include altresì la modellazione software di volumi di edilizia (residenziale e terziario) in cui sia attuata la building integration di sistemi cromogenici, in modo da ottenere due tipologie di feedback di supporto alle attività sperimentali e quindi propedeutici allo scale-up dei device: – Simulazioni Radiance-based per l’assessment del comfort visivo ottenibile, impiegando come input le performance elettro-ottiche dei dispositivi di laboratorio. – Analisi multifisiche agli elementi finiti a supporto del design di architetture innovative per dispositivi cromogenici; esse consentono di ottenere ulteriori dati previsionali, inerenti, ad esempio, le distribuzioni spaziali dei parametri di corrente e di diffusione ionica, il comportamento delle interfacce dei materiali impiegati nei dispositivi medesimi, gli effetti della geometria e delle caratteristiche fisiche e dimensionali degli elettrodi.

IL VETRO, EDILIZIA E NANOTECNOLOGIE

Le misteriose proprietà ottiche ed estetiche del vetro hanno sempre generato un certo fascino. Almeno da quando lo storico Plinio, nella sua Naturalis Historia, narrò come dei mercanti Fenici, nel 5.000 a.C. scoprirono accidentalmente il processo di fabbricazione del vetro attraverso una casuale mescola di sabbia e soda portate a fusione. Furono poi i Romani i primi a impiegare il vetro nelle loro costruzioni. Essi avevano osservato che l’aggiunta di ossido di manganese consentiva di ottener vetro particolarmente chiaro, da impiegarsi come tamponamento. La realizzazione di chiusure verticali trasparenti non era imposta dalle condizioni climatiche mediterranee. Infatti la tecnologia per vetrate si sviluppò solo durante il Medioevo in Germania, con il glesum, parola poi convertita nell’attuale glass. L’evoluzione della tecnologia di produzione del vetro si è poi evoluta fino al Novecento: il secolo in cui la vetratura è assurta a un ruolo centrale nel linguaggio espressivo dell’architettura (tempratura, float glass, vetri di sicurezza). Fino alla codifica del curtain wall, o facciata continua in vetro: uno dei cinque punti fondamentali dell’architettura di Le Corbusier. Come nel caso di Mies van der Rohe col suo Seagram Building (1958), un edificio a torre, in cui veniva realizzato il sogno di una facciata interamente in vetro. Parte dei pannelli venne dopata con selenio, consentendo di ottenere elementi dal colore cangiante sotto la luce solare, dal rosa al blu, fino al bronzo. Può a buon diritto considerarsi uno dei primi esperimenti orientati verso il design dell’involucro come “pelle”, in cui la permeabilità visiva perde la sua fissità, per diventare un elemento dalle proprietà dinamiche, cangianti. Al di là delle proprietà estetiche, il vetro ha spesso costituito il principale limite degli involucri architettonici, in termini di proprietà termofisiche, a causa dell’elevata trasmittanza termica (U). Da queste considerazioni, ben si intende il ruolo centrale delle finestrature nel controllo della molteplicità di flussi (termico, luminoso, acustico) di energia da cui sono interessate. Nell’ottica del miglioramento delle proprietà termiche delle finestrature, sono stati introdotti i vetri bassoemissivi, ossia dotati di rivestimenti superficiali di materiali in grado di controllare l’emissività della superficie del pannello e contenere le dispersioni per irraggiamento nelle intercapedini del vetrocamera. Analoga soluzione, che prevede l’impiego di film sottili, è quella dei vetri a controllo solare, atti a contenere l’aliquota di trasmissione dell’energia attraverso il vetro. Con un impiego prevalentemente estivo, per la riduzione del cosiddetto greenhouse effect. L’applicazione di film sottili di spessore nanometrico mediante tecniche di deposizione fisica in alto vuoto (prevalentemente sputtering magnetronico) può considerarsi una delle prime applicazioni delle nanotecnologie in edilizia. Il grosso limite di questo approccio risiede nel fatto che la deposizione dei film sottili sancisce in modo definitivo il comportamento termofisico di una vetratura con riferimento alla trasmissione di radiazione elettromagnetica. Ben lungi, pertanto, dall’obiettivo progettuale di una “membrana adattiva”, in grado di instaurare un continuo dialogo con l’ambiente circostante e mutare specifiche proprietà in risposta al mutare delle condizioni ambientali circostanti, così da conseguire, con continuità, condizioni di comfort abitativo indoor in termini termici e di visual comfort.

IL FUNZIONAMENTO DI UN DISPOSITIVO ELETTROCROMICO

L’elettrocromismo è il fenomeno che permette il cambiamento di colore di una precisa gamma di materiali, detti elettrocromici, attraverso l’applicazione di una tensione esterna. Si osserva sia in alcuni materiali organici che inorganici. Tra i più diffusi vi sono alcuni ossidi di materiali come il tungsteno, il vanadio, il molibdeno, il nichel. In particolare, uno dei materiali elettrocromici catodici più utilizzati è il triossido di tungsteno, definito in letteratura scientifica come un mixed conductor, ossia un ossido in grado di offrire conduzione ionica ed elettronica al contempo, in precise condizioni. È un materiale che si organizza sotto forma di ottaedri con atomi di tungsteno in posizione centrale, e ossigeno in posizione periferica. Alla mutua disposizione degli ottaedri, che condividono spigoli o vertici, si deve la formazione di un gran numero di canali vuoti. La presenza di tali canali, detti “tunnel”, costituisce la via di accesso per l’intercalazione di piccoli cationi, come protoni, ioni litio o sodio. La tipica architettura di un dispositivo elettrocromico prevede l’impiego di due materiali a colorazione complementare, detti anodico e catodico, tipicamente ossido di nichel e di tungsteno. È stato infatti dimostrato che la reazione reversibile di colorazione e decolorazione del triossido di tungsteno si deve a una reazione redox associata a un’iniezione di elettroni e una contemporanea intercalazione di piccoli cationi, che determina un cambio reversibile del bandgap del materiale; il quale, trasparente in condizioni normali, subisce una transizione ottica fino ad assumere una colorazione blu scuro, per elevati livelli di intercalazione. Tale variazione si deve all’iniezione di elettroni sui siti di tungsteno, che variano il proprio stato di ossidazione, riducendosi da +6 a +5. Così, il fotone incidente avrà energia sufficiente a consentire una transizione di elettroni localizzati tra atomi vicini, e tale impiego di energia spiega la variazione di assorbimento ottico anzidetta. I più moderni trend nel design di dispositivi elettrocromici puntano all’impiego di sistemi completamente a stato solido. Tra i vari approcci è utile citare il tentativo di utilizzare il device elettrocromico, depositato su supporti trasparenti di poliestere, come sistema di laminazione tra vetri.

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