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L’arte del riutilizzo

Riciclare al meglio: l’acquapiovana, gli pneumatici, il vetro. I casi di eccellenza della bioedilizia sbarcano anche in Italia.

Scritto da il 07 giugno 2011 alle 10:30 | 0 commenti

L’arte del riutilizzo

Photo: Kerakoll Green Lab Un centro con tecnologie all’avanguardia per il recupero delle acque piovane


Gestire una rete antincendio e l’irrigazione delle aree verdi senza sprecare acqua, ma attraverso la pioggia raccolta e accumulata durante l’anno. È il progetto in funzione all’Ipermercato Malatesta di Rimini: porterà a un risparmio previsto nei consumo idrici di circa 1300 metri cubi all’anno.

Le precipitazioni meteorologiche cadute sul tetto vengono inviate a un tappeto erboso o, se arrivano nel parcheggio, in una cisterna per la distribuzione attraverso la rete antincendio. L’attenzione per l’acqua è affiancata da misure per l’efficienza energetica (lampade fluorescenti con reattore elettronico), un tetto verde e l’uso di energie rinnovabili (un generatore eolico da 1,5 kW e un impianto fotovoltaico da 50 Kw). Ma in Emilia Romagna non sono poche le aziende che hanno previsto il riutilizzo delle piogge, incentivate anche dal “Regolamento edilizio tipo” regionale che prevede sconti sugli oneri concessori per l’introduzione di requisiti tecnici volontari, come “sistemi di captazione, filtro e accumulo delle acque meteoriche”.

Kerakoll, per esempio, è un gruppo italiano specializzato nella produzione di malte e collanti, impegnato da tempo nello sviluppo di applicazioni in bioedilizia: per il Technology Center di Sassuolo ha progettato un sistema di recupero delle precipitazioni con due differenti tecnologie. Un giardino della pioggia costruito con ghiaie e sabbie fini (“rain garden”) riveste i 1800 metri quadrati del tetto: raccoglie la pioggia, filtra le polveri e abilita il riuso nei servizi igienici. I 4000 metri quadrati di parcheggio, invece, alimentano un “sistema di ritenzione vegetato” su ghiaie più grandi: è una sorta di barriera verde per la depurazione e la dispersione naturale nel sottosuolo. Il riutilizzo di una risorsa preziosa e scarsa come l’acqua è una frontiera in Italia, ma non in Europa (soprattutto in Germania) e negli Stati Uniti.

Pneumatici
Nella bioedilizia si fa sempre più strada l’attenzione per il riciclo. A partire dall’impiego di materiali ricavati dagli scarti di pneumatici, vetro e legno. Che alimentano un’economia verde legata ai distretti industriali, dove i rifiuti di un processo lavorativo non inquinano, ma diventa una risorsa per altri prodotti. Le vecchie gomme di automobili e autotreni, per esempio, vengono frantumate in granuli. E inizia il riciclo dei pneumatici fuori uso (pfu).  “In Italia le principali applicazioni sono i tappetini anticalpestio, prodotti da aziende locali come Isolgomma e Etalia, e i pannelli misti con fibre sintetiche: hanno proprietà acustiche e termiche”, sottolinea Daniele Fornai, responsabile sviluppo impieghi e normative di Ecopneus, la società consortile dei produttori di pneumatici per il rintracciamento, la raccolta, il trattamento e la destinazione finale dei pfu. Inoltre sul mercato sono disponibili piastrelle antitrauma, ma vengono fabbricate anche con l’impiego di resine poliuretaniche (applicate, ad esempio, per la colorazione). Hanno diffusione, invece, soprattutto nel Nord Europa, Spagna, Portogallo e negli Stati Uniti le pavimentazioni con conglomerati bituminosi (simili ai materiali utilizzati per asfaltare le strade). E sono in fase di sviluppo nei laboratori i conglomerati cementizi alleggeriti. Stime informali valutano in 8-10mila le tonnellate di pfu destinate ogni anno all’edilizia: raggiungono le 16mila se si considerano anche le pavimentazioni antitrauma, installate per esempio in palestre e centri commerciali. Eppure, ogni anno 350mila tonnellate l’anno di pneumatici sono dismesse in Italia: un quarto degli scarti scompare senza lasciare traccia. L’ipotesi più probabile è che vengano bruciati (liberando in questo modo idrocarburi aromatici, composti solforati, monossido di carbonio e ossidi di azoto) per evitare di smaltirli nelle discariche autorizzate. Oppure, vengono inviati illegalmente all’estero.

Vetro
Ma altri materiali derivanti da scarti contribuiscono alla bioedilizia. Il vetro riciclato e i suoi residui di lavorazione diventano, per esempio, vetro espanso: è un isolante termico affidabile, duraturo, non inquinante e conserva nel tempo le sue qualità.

Prefedil è un’azienda viterbese: ha progettato un sistema portante costruito attraverso la vibrocompressione di un calcestruzzo formato da palline di vetro espanso e cemento che per il montaggio non richiede malte da produrre sul posto, ma attrezzature trasportabili in modo semplice: chiodi, martello e collanti poliuretanici. Al pallet di legno, invece, deve il suo successo Primo Barzoni, amministratore delegato di Palm, un gruppo mantovano: produce bancali, mobili e stand per le esposizioni a partire da una filiera ecologica e certificata che utilizza anche boschi locali (per esempio, il faggio). L’Italia è tra i primi produttori europei di pallet con due milioni di tonnellate annue, ma nella catena commerciale esiste un anello debole: la metà dei bancali non viene restituita, con rischi per la salute: i supporti utilizzati per i trasporti di sostanze chimiche potrebbero essere riutilizzati altrove, anche per gli alimenti. Il riciclo, invece, chiude la filiera attraverso la tracciabilità dei materiali.


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L'autore

Luca Dello Iacovo

Giornalista freelance, collabora con "Nòva-Il Sole 24 Ore". Segue l'evoluzione del mondo di internet e le frontiere della sostenibilità.


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