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Vita nuova per la lana toscana

Un progetto che fonde ricerca e mercato per garantire prodotti di qualità, recuperando la lana di scarto per darle nuova vita

Scritto da il 05 settembre 2014 alle 8:00 | 0 commenti

Vita nuova per la lana toscana

Articolo a firma di Veronica Caciagli

Ha senso oggi mettere in atto una politica produttiva sostenibile da applicarsi al settore tessile, per la produzione di prodotti tessili naturali radicati nel territorio di riferimento e confezionati recuperando le tecniche tradizionali della sartoria artigianale? Da questa domanda è nato in Toscana il progetto Tessile & Sostenibilità, promosso da IBIMET–CNR e dalla Fondazione per il Clima e la Sostenibilità (FCS) per la costruzione di una microfiliera del settore tessile. Un progetto affascinante, che lega allevamenti, tecnologia e design: ci è stato raccontato da Francesca Camilli dell’IBIMET.

Come è nato il progetto Filiera del Tessile Sostenibile?
Ogni anno in Toscana vengono prodotte circa 500 tonnellate di lana grezza, di cui circa l’80% da razza sarda, di cui solo una parte viene utilizzata nella produzione di tappeti rustici e riempitivi di materassi. Infatti, una quantità significativa di lana grezza è considerata materiale di scarto e viene smaltita come rifiuto speciale, con un notevole costo economico, o indirizzata verso filiere non nazionali, o smaltita non correttamente con danni ambientali.

Proprio con l’obiettivo di dare un nuovo valore a questa risorsa è nata, alcuni anni fa, la proposta di verificare la fattibilità di una filiera laniera toscana che parta dal recupero di lane locali e arrivi alla confezione di prodotti tessili. Successivamente, la proposta si è evoluta nel progetto Filiera del Tessile Sostenibile (FTS), un’iniziativa che ha riunito mondo scientifico, istituzioni e partner imprenditoriali: è finanziato dal Dipartimento di Scienze Bioagroalimentari del Consiglio Nazionale delle Ricerche, con un partenariato composto da Unioncamere Toscana, IBIMET-CNR (Istituto di Biometeorologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche), la Fondazione per il Clima e la Sostenibilità, l’Istituto di Ricerca sull’Impresa e lo Sviluppo, il Centro Interdipartimentale di Biometeorologia, l’Università degli Studi di Firenze.

In che modo sono coinvolti gli artigiani toscani?
L’output finale atteso dal progetto Filiera del Tessile Sostenibile sono i prototipi tessili: perciò, nelle diverse fasi di realizzazione dei tessuti, sono state coinvolte aziende della manifattura tessile industriale e artigiana pratese e toscana con competenze e conoscenze specifiche nella produzione di tessuti e nella confezione di capi di abbigliamento che più si adattano alla natura dei tessuti. Va tenuto conto, infatti, che la particolare struttura delle fibre delle lane locali, in particolare la lana da razza sarda allevata in Toscana utilizzata nel progetto, consente di ottenere dei tessuti che presentano determinate caratteristiche di “mano”, riconducibili a quella di tessuti quali il loden o il tweed.

Inoltre, nell’evento finale che si è tenuto il 27 marzo scorso a Firenze, è stata organizzata un’esposizione nella quale sono stati coinvolti artigiani, designer, stilisti che hanno messo a disposizione le proprie competenze nella valorizzazione dei tessuti prototipali prodotti nel progetto.

Qual è stato il ruolo di IBIMET?
Già da diversi anni IBIMET-CNR si occupa di progetti di valorizzazione di risorse agroambientali dei territori rurali non abbastanza “sfruttate”, attraverso lo studio di possibili costruzioni o ricostruzioni di processi produttivi e di economie locali sostenibili. Nella prima fase del progetto, nel 2011, IBIMET si è occupato della caratterizzazione delle fibre di queste lane, soprattutto delle lane sarde toscane, e dell’analisi sensoriale applicata ai tessuti, i cui risultati sono stati messi a confronto con analisi di laboratorio. Nella seconda fase, che riguarda gli anni 2012-2014, IBIMET si è concentrato sullo studio dell’uso e del riuso dei residui di lavorazione delle lane locali, al fine di valutare come utilizzare tutti i materiali utilizzati nella filiera. In particolare, si è occupato di una prima valutazione dell’impiego in agricoltura di scarti di lavorazione laniera, utilizzati secondo diverse modalità e tipologie di dispositivi agro-tessili, al fine di valutarne la funzionalità ammendante-concime e pacciamante nel settore floro-vivaistico. Le attività di studio sul reimpiego di scarti sono state rivolte anche al settore dei biocompositi, in collaborazione con ISTEC-CNR di Faenza.

Una filiera di produzione di capi di abbigliamento che utilizzino lane locali sarebbe economicamente sostenibile?
Questo è un progetto che ha portato ad una produzione prototipale, per cui ancora non c’è una produzione “a regime” di questi tessuti, ma tra le finalità c’è proprio quella di valutarne l’aspetto economico. Perciò sono state fatte delle stime sia rispetto ai costi di produzione che ai possibili mercati interessati a capi di abbigliamento confezionati con questa filiera. Riguardo ai costi complessivi di produzione di capi di abbigliamento realizzati con queste lane, si può dire che sono comparabili ai costi di lavorazione di altre lane. Rispetto ai mercati potenzialmente interessati, una ricerca condotta dal partner CERIS-CNR ha stimato che in Italia esiste un mercato aperto e interessato all’acquisto di capi prodotti con lane locali: il campione, costituito da oltre 900 intervistati, si è dimostrato aperto all’acquisto di un prodotto certificato italiano. Secondo la ricerca, sono fondamentalmente due i fattori che più di tutti influenzano l’acquisto di capi di abbigliamento: il costo e il design.

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