***ATTENZIONE***
VERSIONE OLD DI TEKNECO AGGIORNATA SINO A GENNAIO 2017
Clicca qui per visualizzare il nuovo sito
La ricerca dell’equilibrio tra Mobilità, Velocità e Ambiente | Tekneco

La ricerca dell’equilibrio tra Mobilità, Velocità e Ambiente

Negli ultimi decenni il sempre più frequente ricorso alle gallerie stradali, unito alla più elevata sensibilità alle problematiche che coinvolgono la qualità della vita, hanno portato ad affrontare con maggiore attenzione i problemi connessi con la progettazione degli imbocchi dei tunnels.

Scritto da il 19 maggio 2010 alle 17:22 | 0 commenti

La ricerca dell’equilibrio tra Mobilità, Velocità e Ambiente

Photo: Antonio Nunes@fotolia


di Pasquale Colonna
Department of Roads and Transport – Politechnic University of Bari, Italy colonna@poliba.it

Introduzione

Negli anni della mia giovinezza, a cavallo del fatidico 1968, le strade erano considerate senza discussione uno dei fattori essenziali per lo sviluppo economico, sociale e culturale della società umana, tanto che a seguito della costruzione di una nuova strada erano attesi esclusivamente benefici. Nei due decenni compresi tra il 1970 e il 1990 questa convinzione è stata progressivamente messa in discussione tanto da arrivare, intorno al 2000, ad una aperta contestazione, da parte di alcuni pensatori e associazioni ambientalisti, di qualsiasi nuova costruzione di nuove infrastrutture di viabilità.

Il mio lavoro, di giovane ed entusiasta ingegnere prima e di professore formatore dei nuovi ingegneri poi, veniva pertanto messo in discussione nella sua profondità e cioè a livello del suo significato e delle sue conseguenze etiche. Si trattava in fondo dello stesso problema che in biologia e medicina aveva generato la bioetica e cioè cercare di risolvere le questioni che nascevano dalle relazioni tra le applicazioni della ricerca tecnico-scientifica e delle connesse tecnologie da una parte e le conseguenze sulla vita delle persone dall’altra.

La problematica era stata definita, forse impropriamente ma efficacemente, come “bioetica ambientale” (1) e comunque era chiaro che le risposte alle domande che essa poneva avrebbero influito sulla vita di un numero sempre maggiore di persone.

Questo studio è nato dunque dalla necessità di andare a fondo a proposito del valore del lavoro che avevo scelto di fare, in particolare cercando di dare una risposta alla domanda “Quando, quanto e come sono utili le strade?”.

La questione, come è facile immaginare, è alquanto complessa e articolata, in quanto coinvolge molte discipline e richiede il punto di vista di molti approcci culturali, per cui certamente non posso affermare di avere acquisito le risposte in modo esaustivo. Tuttavia negli anni, grazie al contributo di molti dialoghi e approfondimenti, alcune situazioni si sono rese più chiare, tanto da consentire di esprimere alcune considerazioni ed intuizioni, che rappresentano passi di un cammino la cui meta sembra raggiungibile ma non è stata ancora raggiunta.
Questo articolo nasce dalla esigenza, manifestatami da più parti, di pubblicare in modo esplicito ed organico quelle considerazioni ed intuizioni espresse in alcune conferenze e soltanto parzialmente esplicitate in precedenti articoli, sebbene alcune di esse non possano ritenersi scientificamente dimostrate, ma soltanto ragionevoli all’interno di una ipotesi che tuttavia non presenta al momento prove capaci di negarla. Mi auguro che in futuro la acquisizione di nuovi dati, i contributi multidisciplinari e la disponibilità di tempo e di risorse possano contribuire a meglio definire tutta la questione.

La mobilità non è soltanto un bisogno derivato

Il trasporto è stato a lungo considerato esclusivamente come un bisogno derivato, connesso cioè alla necessità di soddisfare altri bisogni primari. In questo senso gli spostamenti casa-lavoro ed il trasporto delle merci per motivi commerciali rappresentano classici esempi. Tuttavia negli ultimi anni sono stati pubblicati a più riprese molti studi che sembrano affermare che la mobilità risponda anche ad una esigenza primaria dell’uomo.
D’altro canto il piacere di una passeggiata nella “old town” di una city o quello di raggiungere un rifugio attraverso un sentiero di montagna sono soltanto alcuni dei possibili esempi di evidenza sperimentale della natura primaria di tale bisogno. In sostanza incomincia ad affermarsi l’idea, persistente in alcune linee secondarie di ricerca e confermata dall’esperienza comune, ma spesso ignorata dall’attuale paradigma scientifico, che alla mobilità sia associata un’utilità positiva intrinseca o, in altri termini, che la domanda di mobilità abbia anche una componente non derivata (2, 3, 4, 5, 6).
Volendo ridurre la questione ad una schematizzazione di due ipotesi contrapposte, si avrebbe

  1. la impostazione tradizionale riduttiva, secondo la quale il viaggio è espressione esclusivamente di una domanda derivata:
    • quindi il viaggio ha soltanto una utilità negativa;
    • risparmiare tempo nei viaggi comporta soltanto benefici;
    • bisogna adottare politiche per ridurre la congestione, incrementando i costi di viaggio o avvicinando origini e destinazioni.
  2. la impostazione esperienziale estesa, secondo la quale il viaggio ha anche una utilità positiva intrinseca, per cui talvolta:
    • il viaggio è l’attività che si desidera fare, e cioè è esso stesso una attività;
    • il movimento costituisce il motivo della attività, mentre la destinazione risulta secondaria rispetto al movimento;
    • il desiderio di viaggio può generare il viaggio stesso.

Questo secondo tipo di viaggio può essere definito viaggio indiretto ed è caratterizzato dalle due seguenti condizioni:

  • che vi sia un movimento nello spazio;
  • che la destinazione sia secondaria rispetto al viaggio stesso.

Infatti secondo Mokhtarian (2, 3, 6) l’utilità di uno spostamento è scomponibile in tre componenti:
a)    l’utilità dell’attività da effettuare a destinazione (quella tradizionalmente considerata);
b)    l’utilità delle attività che si possono svolgere durante il viaggio (ascoltare musica, parlare con un amico, pensare o rilassarsi, parlare al telefono, lavorare con un PC portatile, leggere, ma anche la stessa attività della guida, ecc.);
c)    l’utilità intrinseca del viaggio in sé.
L’esperienza ci suggerisce che le ultime due componenti sono talvolta presenti con evidenza e non possono essere ignorate, per cui la impostazione esperienziale estesa, che tiene conto di tutti i fattori in gioco senza escluderne alcuno, sembra la più ragionevole; pertanto sarà quella che prenderemo in considerazione nel prosieguo di questo lavoro.

La mobilità è un bisogno umano innato

Dimostrare, secondo le regole del metodo scientifico, che la mobilità è un bisogno umano innato, è una impresa molto ardua. Tuttavia è possibile convincersi che tale affermazione sia vera a partire da alcuni importanti indizi, che provengono dalla paleoantropologia e dalla sociologia.
Il primo è legato al fatto che, anche se non vi è accordo tra i ricercatori su ciò che distingue univocamente la linea evolutiva umana, tuttavia tradizionalmente i paleoantropologi hanno considerato l’andatura bipede come il tratto distintivo che separa gli antenati dell’uomo dalle scimmie antropomorfe. Infatti il bipedismo è una delle caratteristiche esclusive del genere umano (7), come già affermava Lamarck nella sua “Philosophie zoologique” (1809).
Quali che fossero i fattori che portarono alla acquisizione della postura eretta (avvenuta circa 6 milioni di anni fa), è indubitabile che essa abbia rappresentato un presupposto fondamentale per la comparsa di forme autenticamente umane. Ciò si documenta in due conseguenze: in questo nuovo assetto, il collo poteva sostenere un peso del cranio molto maggiore di quanto non sia possibile ai quadrupedi. Ciò avrebbe aperto la strada all’enorme sviluppo del cranio (avvenuto circa 2 milioni di anni fa) che si osserva nella nostra specie. In secondo luogo gli arti anteriori, non più necessari per la deambulazione, potevano essere utilizzati per la produzione di utensili. Il bipedismo fu l’adattamento iniziale, quello che aprì la strada a tutti gli altri (8, 9, 10).

Figura 1 - Da sempre la più “naturale” limitazione dell’umano è costituita dalla prigione, la cui più evidente caratteristica è proprio la limitazione di mobilità. Per l’uomo libero la mobilità è una delle prime libertà che deve essere garantita dalla società civile.

Le regole adottate dalle società umane di tutti i tempi ci forniscono il secondo indizio. Infatti l’esperienza ci insegna che da sempre la più “naturale” limitazione dell’umano è costituita dalla prigione, la cui più evidente caratteristica è proprio la limitazione di mobilità. Consegue che per ciascun uomo libero la mobilità è una delle prime libertà che deve essere garantita dalla società civile, proprio per rispondere a questo evidente bisogno primario umano (fig. 1).
Questi indizi convergono dunque verso l’ipotesi che la mobilità sia l’espressione concreta di un bisogno nativo dell’uomo.

Il significato del bisogno innato di mobilità

Ma perché l’uomo, in quanto tale, avverte questa inevitabile necessità di mobilità? Evidentemente non è semplice dare una risposta a questa domanda, ma l’esperienza ancora una volta ci aiuta a considerare che una possibile chiave di lettura è data dalla sete di conoscenza implicata dalla attesa di novità e dalla ricerca di significato del mondo e della propria esistenza che ciascun uomo, in quanto tale, si porta dentro. Questo sembra infatti emergere dalle considerazioni e dagli esempi seguenti, che spaziano dalla preistoria fino ai giorni nostri.
Per prima cosa ricordiamo che nel caso della mobilità non derivata, non è importante il motivo per cui si fa lo spostamento, ma lo spostamento in sé. Dunque, quando prevale lo spostamento in sé, vuol dire che il motivo non è al di fuori della persona, ma si trova all’interno della persona stessa. Pertanto le motivazioni che dobbiamo ricercare sono probabilmente di tipo psicologico.
Una prima ipotesi, legata all’indizio paleoantropologico, è la seguente.
La necessità della mobilità per l’uomo è legata alla necessità di affermare l’io. Infatti attraverso il movimento la realtà diventa dinamica. Il passaggio dalla staticità alla dinamicità implica la interazione dell’uomo che, dunque, durante il processo riesce a percepire l’esistenza dell’io in azione. Ciò è amplificato anche dalla circostanza che, in generale, non sappiamo ciò che incontreremo a seguito del movimento. La certezza di una non conoscenza di uno spazio diverso in un tempo futuro stimola la necessità di conoscenza da parte dell’io che, durante il processo, acquisisce la certezza della percezione di sé in azione e, dunque, afferma se stesso. Questa affermazione diventa più completa se, a seguito del movimento, viene generata una attività derivata. In questo caso non è la attività che genera la mobilità come necessità ma, al contrario, è la mobilità che può determinare, come conseguenza, la attività.
Questa interpretazione potrebbe spiegare il passaggio da Homo a Uomo, passaggio da un movimento privo di coscienza a un movimento cosciente. Il quid in più che ha Uomo potrebbe dunque essere rappresentato proprio dalle attività “culturali” determinate, come conseguenza, dal movimento. Nel caso dei mammiferi quadrupedi questo passaggio non è mai avvenuto, l’unico caso in natura in cui ciò è avvenuto è quello di Uomo, mammifero bipede: statisticamente è troppo poco per ritenere valida l’ipotesi che il bipedismo sia determinante, comunque non c’è dubbio che rilevare che nell’unico caso accertato vi sia di mezzo il bipedismo rappresenta un indizio da non trascurare.
Una seconda ipotesi è che la mobilità non derivata abbia una componente che corrisponde al desiderio di qualcosa che non è immediatamente disponibile. In questo caso la mobilità tende alla accessibilità che non c’è. Ma, se miglioriamo la accessibilità, rimarrà sempre il desiderio di mobilità verso qualcos’altro che sta al di là della nuova accessibilità che abbiamo conseguito. Un esempio estremo è dato dal desiderio di volare che l’uomo ha sempre avuto, pur nella consapevolezza che il proprio corpo non fosse in grado di poterlo fare. Si possono fare alcuni esempi.

Figura 2 - Il viaggio verso l'Australia

L’approdo dell’uomo in Australia (fig. 2) risale a circa 60.000 anni fa. A quell’epoca, a causa del diverso livello del mare, per raggiungere tale continente era necessario l’attraversamento di un tratto di mare di almeno 70 km. Ciò implica la capacità di costruire imbarcazioni sufficientemente ingegnose da riuscire ad affrontare il mare aperto. Ma perché quegli uomini avrebbero dovuto lanciarsi in questa rischiosa avventura? Non avevano terre sufficienti sulle quali trovare sostentamento? Proprio in ciò possiamo forse riconoscere un aspetto della nostra stessa umanità, in questa curiosità che spinge ad allontanarsi da ambienti e luoghi noti per vedere cosa vi sia oltre l’orizzonte, alla scoperta di località lontane e misteriose.
D’altro canto i classici hanno spesso descritto questo stato d’animo, da Sofocle a Dante.
Il desiderio di conoscenza è poi quello che spesso è in grado di originare la capacità di azione dell’uomo, come Sofocle (11) descrive benissimo.

Molte sono le cose in grado di sorprenderci
ma nessuna è più sorprendente dell’uomo.
È lui la creatura capace di attraversare gli oceani nebbiosi
sotto l’occhio delle tempeste e degli uragani,
tenendo la rotta sull’orlo degli abissi aperti dalle ondate giganti. (…)
La parola, il pensiero più veloce del vento,
i desideri da cui nascono i mondi,
tutto questo l’uomo l’ha imparato
e tramandato di generazione in generazione.
(Sofocle, Antigone)

Probabilmente Ulisse è il più famoso viaggiatore di tutti i tempi. Il poema di Omero lo presenta come il re dell’isola di Itaca. Durante l’assedio di Troia egli si distinse per la sua astuzia: pensò ad un espediente che consentì ai greci di vincere la guerra. Il suo viaggio di ritorno durò dieci anni e fu terribilmente tormentato.
La sua figura ha intrigato gli artisti di tutte le epoche e di tutte le correnti culturali. In particolare, Dante Alighieri (12) lo erge a simbolo della sete umana di conoscenza. Le persone che intendono comprendere la mobilità dovrebbero riflettere sulle terzine di Dante che descrivono il viaggio di Ulisse al di là delle colonne d’Ercole (fig. 3).

Figura 3

In un recente film (The Truman Show, 2000) il protagonista viene tenuto dalla nascita confinato in un set televisivo costruito appositamente e rappresentato da una piccola cittadina. Tutti gli attori si recano a recitare in questo mondo virtuale mentre il protagonista vive, a sua insaputa, in questa gigantesca Candid Camera nella quale è circondato da ogni attenzione e non gli viene fatto mancare nulla. Tuttavia, anche a causa del desiderio di partire per un viaggio che gli viene inspiegabilmente negato, egli si accorge dell’inganno e allora il desiderio di conoscenza del mondo esterno è più forte della certezza del benessere che gli viene garantita dal mondo virtuale, per cui preferisce affrontare l’ignoto che si cela dietro il significato di una vita vera, abbandonando per sempre il set (fig. 4).

Figura 4

D’altro canto anche gli studi di Mokhtarian (2, 3, 6) confermano che la terza componente dell’utilità di uno spostamento (quella relativa alla utilità intrinseca del viaggio in sé) è connessa a motivazioni quali la curiosità, il piacere di muoversi o il desiderio di “cambiare aria”.
Dunque, secondo la nostra interpretazione, il significato del bisogno innato di mobilità sta nel desiderio della affermazione di sé e della conoscenza dell’ignoto che ciascun essere umano ha.

La misura della mobilità

La mobilità può essere misurata sia a livello di tempi (quanto tempo mediamente una persona dedica alla mobilità in una giornata di un anno), che a livello di spazio percorso (quanti km una persona percorre in un anno). Le stime devono essere effettuate a partire da interviste, oppure alcune persone devono essere appositamente monitorate. In ogni caso le elaborazioni presentano alcuni problemi, dovuti sia alla significatività dei campioni in relazione alla popolazione da considerare e sia alla possibile arbitrarietà della interpretazione delle valutazioni espresse dai soggetti, che spesso devono essere trasformate da qualitative a quantitative. Vi è inoltre la difficoltà di ottenere dati validi, che si ricavano combinando la lunghezza degli spostamenti con le velocità e gli orari dei singoli modi di trasporto. Vi sono molti possibili errori in tali calcoli (13).
Tuttavia tali misurazioni sono state effettuate già a partire dagli anni 1970 in molte nazioni, per cui è possibile provare a fornire alcune interpretazioni.

Il tempo desiderato di mobilità è costante

Prendiamo in considerazione innanzi tutto i dati relativi alla misura del tempo di mobilità.
Già nel 1980 Zahavi e Talvitie (14) avevano individuato la legge del tempo di viaggio (travel time) costante, che afferma che il tempo medio speso per la mobilità in un giorno è costante nel tempo e tra diversi gruppi di popolazioni; è anche indipendente dal modo di viaggio.
Infatti (fig. 5) se si pongono su un diagramma i punti corrispondenti al tempo medio di mobilità degli abitanti di diversi luoghi della Terra in funzione del loro reddito, si può facilmente notare che tale tempo medio risulta praticamente indipendente dal reddito e abbastanza prossimo a poco più di un’ora al giorno.

Figura 5 - (elaborata da Schafer, A. (2006) Long-Term Trends in Global Passenger Mobility, 2006 U.S. Frontiers of Engineering Symposium, September 21-23, 2006, Dearborn, Michigan)

L’esistenza di tale legge è confermata a sua volta da molti indizi, provenienti dall’esperienza e dalla tradizione culturale umana.
Per esempio Marchetti (15) sottolinea che se si prende in considerazione la mappa dei villaggi della antica Grecia e si sovrappongono le superfici dei singoli villaggi in modo da farne coincidere il baricentro (fig. 6), si ha che la superficie del villaggio tipo corrisponde ad un quadrato con lato pari a circa 3 km. In tal caso, per spostarsi a piedi dalla estremità del villaggio fino al centro e tornare indietro (probabile spostamento medio di un abitante dell’epoca) è necessario un tempo di circa un’ora.

Figura 6 - (tratta da: Marchetti, C. (1994). Anthropological invariants in travel behaviour. Technological forecasting and social change(47), 75-88)

D’altro canto lo stesso Marchetti (15) prende in considerazione come sono variate le dimensioni della città di Berlino nel tempo e le mette in relazione con i diversi modi di trasporto disponibili nelle rispettive epoche (fig. 7). Tale analisi evidenzia che la dimensione della città è sempre stata regolata dalla possibilità degli abitanti della periferia di andare al centro e ritornare indietro in un tempo di circa un’ora. Nel momento in cui si sono resi disponibili modi di trasporto più veloci, la città si è espansa fino a raggiungere le dimensioni corrispondenti alla possibilità di andare a lavorare e di ritornare alla propria abitazione ogni giorno in un tempo di circa un’ora.

Figura 7 - (tratta da: Marchetti, C. (1994). Anthropological invariants in travel behaviour. Technological forecasting and social change(47), 75-88)

Peraltro anche nel caso già citato della prigione, per rendere la limitazione e la punizione più umana, al condannato viene riconosciuta l’esigenza di avvalersi durante la giornata di “un’ora d’aria”. In tale circostanza al detenuto è consentito di muoversi, anche se in un ambiente confinato, per un tempo che è universalmente riconosciuto equo se è proprio pari ad un’ora.
Peraltro Schafer (16) cita i dati di Szalai (17) in base ai quali è abbastanza evidente che il tempo che in una giornata è dedicato mediamente allo spostamento è di poco superiore a 1 h/giorno e varia molto poco al variare delle ore di lavoro quotidiano (fig. 8).

Figura 8 - (tratta da: Schafer, A. (2000): Regularities in Travel Demand: An International Perspective, Journal of Transportation And Statistics, Volume 3 Number 3, December 2000, 1 – 31)

Dunque a Parigi o in un villaggio africano il tempo medio di mobilità è circa uguale a 1,1 ore per giorno. Mediamente ciascun uomo sembra avere dentro di sé la stessa quantità di desiderio di mobilità: se un uomo si sposta molto di più o molto di meno, soffre.
La legge della costanza del tempo di viaggio è stata analizzata criticamente, tra gli altri, da Hupkes (18), Vilhelmson (19), Marchetti (15), Akerman (20), Höjer e Mattsson (13), Schafer e Victor (21), Moktarian e Salomon (2), Mokhtarian (6), Schafer (22)  e  (23).
Molte osservazioni si riferiscono alla possibile incertezza dei dati e al fatto che la legge è abbastanza verificata a livello aggregato mentre a livello di singolo individuo le variazioni possono essere molto elevate.
Tuttavia alcuni ricercatori hanno cercato di individuare la possibile spiegazione della legge.
In particolare Vilhelmson (17) fornisce una motivazione di natura biologica e presuppone che l’uomo mantenga stabilità nel suo comportamento. In base a questa spiegazione l’uomo ha speso circa lo stesso tempo medio ogni giorno per muoversi fin dai primi giorni della sua storia. Perciò essa è programmata biologicamente dalla evoluzione per continuare a fare così. Questa spiegazione è ulteriormente sviluppata da Marchetti (15) il quale afferma che la stabilità del TT può corrispondere ad un istinto acquisito dall’uomo delle caverne; quando l’uomo viveva nelle caverne, egli era costretto a bilanciare il rischio di uscire dalla caverna con le opportunità fornite dal mondo esterno.
Mokhtarian (20) ha invece trovato che la terza componente dell’utilità di uno spostamento (quella relativa alla utilità intrinseca del viaggio in sé) è connessa a motivazioni quali la curiosità, il piacere di muoversi o il desiderio di “cambiare aria” ed è alla base dell’esistenza di un certo TTB desiderato, il cui valore può variare in funzione dell’educazione e della condizione socio-economica.
Lo scrivente (3) ritiene comunque che il tempo che ogni giorno il singolo individuo dedica alla mobilità sia da interpretare in parte come la risposta fisiologica alla necessità di sostentamento tipica di qualunque essere vivente mobile (per esempio la ricerca di cibo o, nella forma più evoluta, lo spostamento casa-lavoro). Tuttavia, poiché in assenza di qualunque necessità, l’uomo manifesta comunque l’esigenza di mobilità, sembrerebbe più corrispondente alla realtà interpretare tale quantità di tempo come la somma di due entità, delle quali la prima, ATTE (Animal Travel Time Expenditure) corrisponderebbe al tempo di mobilità necessario all’animale uomo per la sua sussistenza e la seconda, HTTE (Human Travel Time Expenditure) al tempo di mobilità richiesto da ciascun uomo in quanto tale, indipendentemente dalle necessità legate alla sua sussistenza.

Con lo sviluppo economico è aumentata la domanda di km di mobilità

Ma, se è vero che il tempo medio di spostamento in una giornata è costante, ciò non vale per lo spazio percorso, che può variare notevolmente secondo quanto evidenziato dalla fig. 9 tratta da Schafer (16).

Figura 9 - (tratta da Schafer, A. (2000): Regularities in Travel Demand: An International Perspective, Journal of Transportation And Statistics, Volume 3 Number 3, December 2000, 1 – 31)

Per scoprire qual’è il principale fattore che fa variare lo spazio percorso è sufficiente esaminare la fig. 10, anch’essa tratta da Schafer (22), nella quale sono diagrammati i km mediamente percorsi in un anno in funzione del reddito medio per persona. Dalla stessa infatti emerge in maniera abbastanza evidente che è la disponibilità economica che induce a percorrere distanze maggiori.

Figura 10 - (tratta da Schafer, A. (2006) Long-Term Trends in Global Passenger Mobility, 2006 U.S. Frontiers of Engineering Symposium, September 21-23, 2006, Dearborn, Michigan)

Con lo sviluppo economico è aumentata la velocità della mobilità

Ma se il tempo che mediamente una persona dedica alla mobilità è costante e lo spazio aumenta con il reddito, consegue che ciò che varia con il reddito è anche la velocità di spostamento, per cui dobbiamo aspettarci che la maggiore disponibilità economica induca a compiere spostamenti più veloci e dunque ad usare modi di trasporto più veloci.
La conferma di tale ipotesi viene dall’esame della fig. 11 nella quale sono diagrammati, in funzione del reddito, gli andamenti delle scelte percentuali dell’utenza nei confronti del trasporto pubblico (autobus e treni ordinari – andamento decrescente con il reddito), dell’auto privata (andamento a campana) e dei modi ad alta velocità (treni ad alta velocità e aerei – andamento crescente con il reddito).

Figura 11 - (tratta da Schafer, A. (2006) Long-Term Trends in Global Passenger Mobility, 2006 U.S. Frontiers of Engineering Symposium, September 21-23, 2006, Dearborn, Michigan)

Sostanzialmente sembra dunque che la maggiore disponibilità economica spinga le persone a “controllare” uno spazio maggiore di territorio. Ciò comporta due conseguenze e cioè che da un lato, per poterlo fare liberamente, senza alcuna limitazione da parte di altri sia nello spazio che nel tempo, le persone tendono ad utilizzare mezzi individuali, e dall’altro, per poterlo fare nella stessa quantità di tempo, tendono ad usare sistemi di trasporto sempre più veloci.
Ma questo processo, che sembra evidente ed inarrestabile e che favorisce la conoscenza e gli scambi culturali e commerciali, non presenta forse qualche controindicazione?

Il probabile sviluppo economico futuro determinerebbe un trend di mobilità insostenibile

La fig 10 indica che, pressappoco, il numero medio di km percorsi in un anno equivale al numero di dollari corrispondenti al reddito medio annuo. Ciò significa che, poiché tutti ci auguriamo che la globalizzazione determini un rapido incremento di reddito in tutte le popolazioni del pianeta, dobbiamo anche aspettarci che, se le tendenze di comportamento rimangono inalterate, diversi miliardi di persone accederanno nei prossimi anni a modi di trasporto sempre più veloci, abbandonando prima i modi di trasporto non motorizzati a favore di quelli collettivi motorizzati e poi passando da quelli collettivi motorizzati a quelli individuali motorizzati, secondo un andamento qualitativo evidenziato dalla fig. 12 tratta da Rodrigue e al. (24). L’ultima fase prevederebbe una utilizzazione di massa dei sistemi di trasporto ad alta velocità, con problemi di gestione, sia dei sistemi che del territorio, che allo stato attuale non sono facilmente immaginabili a causa della loro complessità.

Figura 12 - (tratta da Rodrigue, J.P., Comtois, C. and Slack, B.: Transportation and Geography, New York, Routledge)

Tale prospettiva, se pur confortante dal punto di vista socioeconomico e della equità, non lo è affatto se ci riferiamo al consumo delle risorse energetiche, al potenziale inquinamento e alla qualità della vita in generale.
Infatti allo stato attuale il trasporto motorizzato è responsabile di circa un quarto sia del consumo delle risorse energetiche (International Energy Agency) (25) che delle emissioni di CO2 (fig. 13) e, se le tendenze fossero confermate, l’andamento futuro potrebbe raggiungere rapidamente livelli preoccupanti, come affermato da vari autori tra i quali, per esempio Broccoli (26), Pacala e Sacolow (27).

Figura 13 - (tratta da Broccoli, A.J.: The Challenge of Global Warming and Recycling’s Impact on Greenhouse Gas Reduction, New Jersey WasteWise Business Network, May 16, 2007)

Per tali ragioni diventa importante e urgente individuare nuove prospettive di comportamenti che siano in grado di fare invertire le tendenze in atto, così da riportare i futuri sistemi di trasporto all’interno di equilibri sostenibili.

Necessità di un cambiamento: utilizzare la costanza del tempo desiderato di mobilità per ridurre la velocità di mobilità

Per tale ragione consideriamo due aspetti che sono stati discussi nei paragrafi precedenti:

  • la legge del tempo di viaggio (travel time) costante, che afferma che il tempo medio speso per la mobilità in un giorno è costante nel tempo e tra diversi gruppi di popolazioni ed è anche indipendente dal modo di viaggio;
  • la circostanza che mediamente ciascun uomo sembra avere dentro di sé la stessa quantità di desiderio di mobilità: se un uomo si sposta molto di più o molto di meno, soffre.

Se questi due assunti sono veri, come l’esperienza e le statistiche disponibili sembrano confermare, possiamo allora cercare di intervenire sui comportamenti umani in modo da modificare le tendenze in atto.
Infatti, se quello che l’uomo chiede è di avere un tempo quotidiano di mobilità di poco superiore a un’ora, ciò che dovremo cercare di fare sarà convincere le persone a inserire all’interno di quella ora il massimo quantitativo possibile di mobilità “positiva”, cioè sostenibile e possibilmente non motorizzata. La mobilità “negativa” sarà allora relegata esclusivamente al tempo residuo, cioè a quello rimasto disponibile all’interno dell’ora, e sarà quella strettamente indispensabile se si vuole che la persona, a causa dell’eccesso di mobilità, non ne soffra e non riduca in tal modo la propria qualità della vita. Avranno invece scarsa efficacia azioni tendenti a fare ridurre globalmente il travel time quotidiano, perché le persone tenderebbero naturalmente a compensare tali riduzioni, come affermato da Höjer e Mattsson (13).
In sostanza se il totale della nostra mobilità è costante ed è composto da due quantità, delle quali una è “positiva” e l’altra è “negativa” dal punto di vista della sostenibilità, sarà indispensabile fare aumentare la mobilità “positiva” se vogliamo che quella “negativa” si riduca.
Per raggiungere questo obiettivo sarà ovviamente indispensabile convincere le persone a spostare la propria domanda di mobilità verso i modi di trasporto meno veloci e più corrispondenti alla natura originale dell’uomo (che per diversi milioni di anni ha utilizzato esclusivamente la mobilità pedonale) (Colonna ed al. (28, 29, 30), razionalizzando contemporaneamente l’uso dei modi di trasporto più veloci.
Affinché questo obiettivo venga effettivamente conseguito, sarà tuttavia indispensabile non soltanto effettuare una ampia e condivisa azione di divulgazione, ma soprattutto favorire tutte quelle condizioni al contorno (infrastrutturali, pianificatorie, economiche, ecc.) che realmente incentivino gli utenti a consumare la mobilità positiva, in quanto la utilizzazione di tale mobilità, anche se corrisponde ad una condizione umana originaria, è di fatto contrastata dalla tendenza dell’individuo, anch’essa naturalmente e originariamente connessa alla natura umana, a controllare maggiori quantità di territorio e quindi a utilizzare velocità più elevate a parità di tempo (Colonna (4) e Marchetti (15)).

Le possibili azioni da promuovere per favorire lo share della mobilità sostenibile

Di seguito si proverà ad esplicitare alcune di queste possibili azioni, precisando subito che alcune di esse sono di facile ed economica implementazione, mentre altre mettono in discussione abitudini che negli ultimi decenni sono state ampiamente considerate, sia a livello individuale che familiare, obiettivi di status sociale da raggiungere e che si sono pertanto consolidate con grande favore nella popolazione, per cui la possibile inversione di tendenza, che peraltro sembra necessaria, potrebbe determinare enormi difficoltà nella acquisizione del consenso da parte della gente, soprattutto per coloro che stanno per raggiungere tale status o che lo hanno da poco acquisito.
Nei successivi due paragrafi le possibili azioni sono state elencate all’interno di categorie convenzionali per comodità del lettore. Tuttavia tale suddivisione deve essere interpretata in modo assolutamente flessibile, poiché ciascuna delle azioni in realtà può avere ricadute in ambiti molto più estesi rispetto a quanto possa apparire a prima vista in relazione alla categoria di appartenenza.

Quali misure promuovere per favorire lo share della mobilità sostenibile: la viabilità

Innanzi tutto verrà preso in considerazione quello che è possibile proporre nel settore delle infrastrutture, considerando prima le strade urbane, che sono quelle più direttamente utilizzabili dalla mobilità positiva non motorizzata e per le quali dunque sono necessari interventi di facilitazione e incentivazione di tali modi di mobilità, e poi quelle extraurbane, per le quali vanno invece ipotizzati interventi di razionalizzazione.
Per quanto riguarda la viabilità urbana, potrebbero essere possibili le seguenti azioni:
definizione di standard elevati per la qualità di progettazione ed esecuzione delle strade urbane e delle loro pertinenze (dal punto di vista estetico, funzionale, della sicurezza stradale, della protezione dal clima atmosferico avverso, dei servizi, delle opportunità, della presenza dei nodi intermodali, ecc.), incentivazione fiscale per le famiglie senza auto di proprietà, integrazione delle funzioni tradizionali (di controllo) degli ausiliari del traffico con quelle di sostegno alla mobilità pedonale (in particolare per ragazzi, anziani, ecc.), disincentivo all’utilizzo del mezzo privato attraverso la introduzione di un pedaggio nelle aree più congestionate ed elevando la tariffazione della sosta, disincentivazione dell’uso dei veicoli a due ruote motorizzati. Altre azioni, anch’esse alquanto correlate con la viabilità urbana, sono state invece elencate nel paragrafo della organizzazione del territorio, in quanto si ritiene che possano avere un impatto più esteso e diffuso.
Per la viabilità extraurbana possono essere elencate, a titolo esemplificativo, la limitazione e controllo della velocità sulle strade non a pedaggio, la limitazione dei km annui percorribili con la singola auto privata, gli incentivi (per esempio sui premi assicurativi, sulle tasse per il rinnovo della patente, ecc.) per le auto con chilometraggi bassi, la tariffazione delle strade a pedaggio proporzionalmente alla velocità di percorrenza e così via.

Quali misure promuovere per favorire lo share della mobilità sostenibile: l’organizzazione del territorio

L’organizzazione del territorio incide direttamente sulla mobilità delle persone e può condizionare in modo significativo la scelta del modo di mobilità e dunque la definizione della velocità di mobilità. Risulta pertanto fondamentale proporre ed implementare azioni che utilizzano l’organizzazione del territorio per incrementare lo share della mobilità sostenibile.
Anche in questo caso viene fornito a titolo esemplificativo soltanto un elenco di possibili azioni ciascuna delle quali meriterebbe di essere descritta nel dettaglio.
Tra queste possiamo infatti annoverare l’allontanamento dei parcheggi privati dalle destinazioni, la distribuzione delle ubicazioni delle attività in modo tale che le distanze degli spostamenti tipici delle famiglie siano compatibili con le forme di mobilità pedonale e ciclistica, la progettazione, organizzazione e costruzione di vere e proprie “reti” di viabilità pedonale e ciclistica, l’organizzazione e razionalizzazione delle reti di trasporto pubblico, gli incentivi per le aziende che costruiscono parchi e servizi per la mobilità ciclo-pedonale per i dipendenti (per esempio tra i parcheggi periferici e la sede lavorativa) e così via.

Il trasporto delle merci e la necessità dell’equilibrio dei costi

Alcune delle possibili azioni hanno la capacità di influenzare in modo rilevante il settore dell’economia, per cui potrebbero incontrare significative resistenze nella implementazione. Ciò può accadere, per esempio, nel settore del trasporto delle merci nel quale, a seguito della globalizzazione, il consumo di beni superflui prodotti a distanze molto rilevanti è stato reso molto più facilitato negli ultimi anni. Poiché tale consumo non costituisce una necessità, una evidente limitazione può essere costituita dalla imposizione di una tariffazione aggiuntiva per il prodotto quando viene superata una soglia minima per la distanza tra produzione e consumo, tariffazione che potrebbe essere proporzionata a tale distanza.
Invece, a livello di trasporto passeggeri, è noto che è molto elevata l’incidenza dei contributi pubblici necessari affinché le aziende di trasporto possano chiudere i propri bilanci in pareggio. Ciò viene fatto, in generale, per favorire la mobilità delle persone e sviluppare l’economia. Tuttavia nelle economie mature, per le quali il reddito della popolazione ha superato determinate soglie, tale pratica dovrebbe essere progressivamente ridotta (in particolare per il trasporto veloce), in modo da riportare i prezzi a carico degli utenti verso un equilibrio più fisiologico con i costi di produzione dei servizi.

Quali misure promuovere per favorire lo share della mobilità e del trasporto sostenibili: la formazione culturale

La società moderna è oramai sempre più influenzata dai processi e dai sistemi di comunicazione. Pertanto risulta fondamentale, qualora si accerti l’esistenza di nuovi principi generali che coinvolgono il comportamento dell’intera popolazione mondiale a favore delle generazioni attuali e future, che gli stessi vengano acquisiti e diffusi in modo capillare e soprattutto responsabilmente partecipati, in maniera tale da ottenere il consenso diffuso prima e l’adeguamento comportamentale poi, soprattutto se tali principi implicano la necessità di limitare parzialmente alcune libertà individuali a favore del bene comune. Tale processo richiede pertanto il coinvolgimento prima di tutto dei soggetti culturali capaci di individuarlo e di segnalarlo, poi quello dei soggetti sociali più sensibili che possano provvedere ad una prima diffusione e infine dei soggetti istituzionali e politici che possano intervenire con gli strumenti a loro disposizione per procedere alla implementazione degli interventi necessari. In tal modo gli interventi stessi non verranno “subiti” dalla popolazione ma, al contrario, saranno pienamente condivisi e sostenuti da una larga parte della stessa, attraverso un processo di acquisizione del consenso armonico e produttivo. Tutta l’intera filiera della formazione culturale può e dovrebbe pertanto essere coinvolta in tale obiettivo, utilizzando tutti gli strumenti a propria disposizione. In tal senso il ruolo educativo di scuole e università può risultare decisivo.

Conclusioni

I rapidi cambiamenti sociali e comportamentali che stanno avvenendo in tutto il mondo hanno recentemente messo in discussione la sostenibilità delle infrastrutture di trasporto, la cui reale utilità per l’umanità attuale e futura è stata per la prima volta messa in dubbio dopo diversi millenni e cioè da quando, con l’addomesticamento degli animali e l’avvento della ruota, la mobilità e il trasporto sono diventati un sistema tecnologico a servizio dell’uomo. La consolidata equazione tra sviluppo e infrastrutture di trasporto si è trasformata in una possibile e preoccupante disequazione tra sostenibilità e infrastrutture di trasporto, facendo sorgere alcuni dubbi che hanno imposto l’obbligo etico e culturale di riconsiderare a fondo l’intera questione.
L’analisi dei dati statistici a disposizione e l’evidenza di alcuni comportamenti umani hanno portato a ritenere che sia significativa la probabilità che l’intero processo sia regolato dai seguenti principi:

  • il tempo medio di mobilità desiderata da parte delle persone è di poco superiore ad un’ora al giorno;
  • le distanze mediamente percorse dalle persone aumentano con la disponibilità economica;
  • una delle conseguenze dello sviluppo economico è pertanto la utilizzazione di modi di trasporto sempre più veloci;
  • tale processo, se continuasse indefinitamente ed in assenza di tecnologie innovative in grado di ridurre sensibilmente le emissioni (tecnologie che al momento appaiono comunque lontane dalla possibilità di essere implementate), potrebbe portare a conseguenze difficilmente accettabili dal punto di vista della sostenibilità;
  • tuttavia, tenendo presente da un lato che l’uomo da sempre ha utilizzato forme di mobilità non motorizzata che dunque gli sono congeniali e dall’altro che mediamente la somma del tempo dedicato alla mobilità, motorizzata e non, rimane pari a poco più di un’ora, una possibile inversione di tendenza si potrebbe avere soltanto se nelle persone emergesse la consapevolezza di dover utilizzare nella giornata un maggiore tempo da dedicare alla mobilità non motorizzata, che in tal modo andrebbe a compensare una probabile riduzione di mobilità motorizzata e veloce, per la quale cioè rimarrebbe disponibile un minore tempo residuo (rispetto al totale di circa un’ora);
  • tale modifica comportamentale, che va comunque a vantaggio della salute e del benessere e riduce probabilmente gli effetti della incidentalità stradale, si rende particolarmente sentita ed urgente per le società mature ed a più alto reddito;
  • per il conseguimento di tale obiettivo è possibile implementare misure a livello di infrastrutture di viabilità, di organizzazione del territorio, di economia e di formazione culturale, secondo un processo sinergico tra tutte le componenti umane e istituzionali alle quali stia a cuore il benessere e la qualità della vita delle generazioni presenti e future.

Bibliografia

1.    Facchini, F. (2002): Origini dell’uomo ed evoluzione culturale, Jaca Book
2.    Mokhtarian, P.L., Salomon, I. (2001): How derived is the demand for travel? Some conceptual and measurement considerations. Transportation Research A, 35, 695-719
3.    Mokhtarian, P.L., Salomon, I., Redmond, L.S. (2001): Understanding the Demand for Travel: It’s Not Purely ‘Derived’. Innovation, 14
4.    Colonna, P. (2003): “Mobility, roads, development and quality of life”, XXIInd PIARC World Road Congress, Durban
5.    Colonna, P., Fonzone, A. (2003): New Ways of Viewing the Relationship between Transport and Development. Discussion Paper. Transportation Research Board, 82nd Annual Meeting, Washington
6.    Mokhtarian, P.L., Chen, C. (2004): TTB or not TTB, that is the question: a review and analysis of the empirical literature on travel time (and money) budgets. Transportation Research A, 38, 643-675
7.    Drusini, A., Swindler, D.R.(1996): Paleontologia umana – Evoluzione, adattamento, cultura, Jaca Book, Milano
8.    Associazione meeting per l’amicizia fra i popoli (2002): L’alba dell’uomo, Itacalibri, Rimini
9.    Ackerman, J. (2006): Che fatica essere bipedi, National Geographic, luglio
10.    Tattersall, I. (1998): Il cammino dell’uomo, Garzanti, Milano
11.    Sofocle: Antigone. Coro 332-375
12.    Dante Alighieri: Divina Commedia, Inferno, XXVI
13.    Höjer, M, Mattsson, L.G. (1999): Historical determinism and backcasting in future studies, Conference on Urban Transport Systems, Lund
14.    Zahavi, Y., Talvitie, (1980): A. Regularities in travel time and money expenditures. Transportation Research Record 750. TRB, National Research Council, Washington, D.C.. pp. 13-19
15.    Marchetti, C. (1994): Anthropological invariants in travel behaviour. Technological forecasting and social change, 47, 75-88, Elsevier Science Inc.
16.    Schafer, A. (2000): Regularities in Travel Demand: An International Perspective, Journal of Transportation And Statistics, Volume 3 Number 3, December, 1 – 31
17.    Szalai, A., Converse, P.E., Feldheim, P., Scheuch, E.K., Stone, P.J., (1972): The Use of Time: Daily Activities of Urban and Suburban Populations in 12 Countries. The Hague, Mouton
18.    Hupkes, G. (1982): The law of constant travel time and trip-rates. Futures(February), 38-46
19.    Vilhelmson, B. (1990): Vår dagliga rörlighet – om resandets utveckling, fördelning ochgränser. TFB-rapport 16. Transportforskningsberedningen, Stockholm
20.    Åkerman, J. (1996): Tid för resor – om tidsanvändning, värdering av tid och snabbare transporter. KFB-rapport 6. Kommunikationsforskningsberedningen, Stockholm
21.    Schafer, A., Victor, D.G. (2000): The future mobility of the world population. Transportation Research Part A: Policy and Practice, Vol. 34, No. 3. pp. 171-205
22.    Schafer, A. (2006): Long-Term Trends in Global Passenger Mobility, 2006 U.S. Frontiers of Engineering Symposium, September 21-23, Dearborn, Michigan
23.    Levinson, D., Wu, Y (2005): The rational locator reexamined: Are travel times still stable? Transportation Springer Netherlands Volume 32, Number 2 March, pp 187-202
24.    Rodrigue, J.P., Comtois, C., Slack, B. (2006): Transportation and Geography, New York, Routledge, 284 pages. ISBN 0-415-35441-2
25.    International Energy Agency (2005): World Energy Outlook 2004
26.    Broccoli, A.J. (2007): The Challenge of Global Warming and Recycling’s Impact on Greenhouse Gas Reduction, New Jersey WasteWise Business Network, May 16
27.    Pacala, S., Socolow, R. (2004): Stabilization Wedges: Solving the Climate Problem for the Next 50 Years with Current Technologies, Science, vol 305, 968-972
28.    Colonna, P., Pascazio, R. (2004): Le relazioni tra mobilità, infrastrutture di trasporto e sviluppo, in “Andar di luogo in luogo per incontrare memoria e futuro” a cura di C. Maccagni, F. Pinto Minerva, M. Sinatra, Collana “I laboratori scientifici – 3 I beni ambientali”, Edizioni Pensa Multimedia srl, Lecce, ISBN 88-8232-344-7, pp.201-222
29.    P. Colonna, “Mobility and Transport for our tomorrow roads”, European Roads Review n. 14, 2009, pag. 44-53
30.    Colonna P. (2009): Mobilità e trasporto per le strade del nostro futuro, Rassegna del Bitume, n. 62/09, SITEB, Roma


Rispondi

Nome (richiesto)

Email (richiesta, non verrà pubblicata)

Sito web (opzionale)


Condividi


Tag


L'autore

Redazione Web


Il solare termico, corso online
Focus, la rivoluzione della domotica
Klimahouse 2017
RUBNER
AQUAFARM
BANCA ETICA
SIFET
BUILDING INNOVATION

ANICA
tekneco è anche una rivista
la tua azienda su google maps

Più letti della settimana



Continua a seguire Tekneco anche su Facebook:

Altri articoli in Ecologia
euroambiente Auditorium Parco della Musica di Roma
Prati da parati

Tecnologie semplici e innovative per far crescere il verde in qualunque direzione: da Tecology a PerliGarden a Euroambiente, tanti progetti italiani

Close