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L’ecologia va in borsa | Tekneco

Tekneco #12 – Green Economy

L’ecologia va in borsa

I fondi di investimento europeo credono nel potenziale di crescita del settore ambientale. A rivelarlo un’indagine dell’osservatorio VedoGreen

Scritto da il 31 luglio 2013 alle 8:30 | 0 commenti

L’ecologia va in borsa

Il verde, o meglio il green, è diventato una parola d’ordine abusata che troppo spesso assume più il ruolo di uno slogan che di una vera tendenza, specialmente per ciò che riguarda le aziende. Non sono poche, infatti, le imprese che tra sostenibilità, green new deal, green economy hanno fatto delle tematiche verdi, o per meglio dire vicine all’ambiente, una serie di mere etichette dietro le quali non c’è altro che una verniciata di verde. Si tratta, però, di un fenomeno che ha le gambe corte poiché, specialmente a livello internazionale, le aziende che fanno del mero green-washing, si chiama così il fenomeno, sono spesso scoperte da organizzazioni ambientaliste e non governative, con un danno doppio. Esiste, però, una fetta dell’economia che non risponde a questa logica, ma si sta muovendo su basi reali, sane e quindi sostenibili anche economicamente e non solo a livello ambientale.

Si tratta di aziende che oltre a essere attive in settori verdi, come i servizi ambientali, la chimica verde, la mobilità sostenibile, le rinnovabili, etc., sono anche quotate in borsa e, per questa ragione, sono soggette alle strette leggi dei mercati regolamentati.

Queste imprese sono oggetto di un attento interesse da parte degli investitori istituzionali, che vedono nel settore delle buone potenzialità di crescita. Da un sondaggio realizzato alla fine del 2012 dall’osservatorio VedoGreen, intervistando cinquanta fondi d’investimento istituzionali europei è emerso il fatto che questi soggetti sono molto interessati al potenziale di crescita generale del settore ambientale, nel quale identificano dei settori con buone potenzialità di crescita che hanno però una serie di ostacoli.

Rinnovabili in testa

Nel panel degli intervistati, per quanto riguarda i settori nei quali investire nell’immediato, al primo posto, l’84%, mette le energie rinnovabili, al secondo, il 79%, la gestione rifiuti, il 78% punta sull’efficienza energetica, il 40% guarda alla gestione idrica, un significativo 35% tiene d’occhio i cambiamenti climatici e il 26% è attento agli edifici ecoefficienti (erano possibili risposte multiple). Si tratta di opinioni che fotografano in maniera abbastanza precisa ciò che succede in Europa oggi, mentre la situazione cambia in maniera abbastanza netta se si sposta l’orizzonte al medio periodo.

Per quanto riguarda i settori sui quali scommettere all’interno di un orizzonte più ampio, al primo posto, con il 67%, troviamo l’utilizzo efficiente delle risorse, seguito dai rifiuti con un 38% e con le rinnovabili che si piazzano terze con un 23%. A seguire troviamo con un 15% il settore delle smart grid e delle smart cities, la mobilità ecologica con un 12% e l’edilizia ecologica con un 6%. Si tratta di una classifica sulla quale vale la pena spendere qualche riflessione.

Trattandosi di investitori istituzionali è chiaro che la scelta principale sia caduta su settori industrialmente maturi che offrono maggiori garanzie e che consentono alle aziende di aumentare la marginalità senza una grande necessità di innovazione di prodotto e di processo che anche se auspicabili sono ipotetiche. L’utilizzo efficiente delle risorse e i rifiuti, infatti, possiedono già oggi tecnologie molto mature, processi consolidati che in un momento di crisi consentono di “arrivare al risultato certo” in tempi determinati, senza grandi rischi, con la sola condizione che si possa accedere a una sufficiente base di liquidità per effettuare gli investimenti, mentre le rinnovabili suscitano un buon interesse, ma con ogni probabilità sul medio periodo scontano il fatto che già oggi vivono una fase di transizione tra gli incentivi e la grid parity.

Smart grid-smart cities, mobilità e la mobilità ecologica sono con ogni probabilità viste come prospettive di lungo periodo i cui rendimenti sono incerti, mentre discorso a parte deve essere fatto per l’edilizia ecologica che da molti operatori del settore è vista come un segmento dalle grandi potenzialità. Gli investitori istituzionali europei, infatti, arrivano da un periodo nel quale in parecchi sono stati “scottati” dalla bolla edilizia che anche in Europa – la Spagna ne è un chiaro esempio – ha fatto dei danni notevoli, mentre lo stock immobiliare invenduto nel Vecchio Continente è pur sempre un problema, anche se è contabilizzato da molti istituti bancari come una voce “attiva”. In un quadro generale di questo tipo è chiaro che gli investitori vedano con una certa freddezza il settore dell’edilizia, compresa quella innovativa, che oltretutto appare parcellizzata in piccoli interventi difficili da “agganciare” con gli investimenti istituzionali.

Barriere presenti

Interessanti, specialmente per i decisori, l’aspetto delle barriere che ostacolano l’ecoinvestimento.

Al primo posto in assoluto troviamo l’incertezza del quadro legale e normativo con ben l’84%, mentre il 45% degli investitori teme la non conoscenza degli asset allocation. Il 23% vede come barriera la mancanza di standard credibili e il 18% la presenza di modelli di business immaturi. Il primo ostacolo dovrebbe far riflettere i decisori, tecnici e politici di qualsiasi livello su quali siano gli ostacoli di natura solo “indotta” che abbiamo in Italia. Un quadro normativo intricato e stratificato sia su norme di carattere generale, sia sulle norme specifiche, unito all’incertezza rispetto al quadro legale, con un’inefficienza della giustizia civile senza pari in Europa, rappresentano i principali ostacoli agli investitori finanziari nell’ecologia nel nostro Paese. Basti un dato: gli operatori delle rinnovabili stimano che l’aggravio per la burocrazia in Italia sia di circa il 15% del prezzo finale degli impianti.

Per quanto riguarda le ragioni circa l’investimento in ecologia sono molto interessanti alcune risposte. L’85% del campione parla di elevate potenzialità del settore, il 49% punta sulla responsabilità verso il Pianeta, ma il 33% riporta ragioni finanziarie, come rendimenti elevati e basso profilo di rischio. Si tratta di un fenomeno che sta emergendo in diverse parti del mondo, ma che ancora stupisce per il suo dato di novità. In Australia, per esempio, gli impianti a energia rinnovabile hanno una maggiore facilità nel trovare finanziamenti a tassi vantaggiosi, rispetto agli impianti funzionanti a carburanti fossili e ciò perché i primi sono al riparo da eventuali normative restrittive legate all’inquinamento e ai cambiamenti climatici.

Negli Usa stanno partendo i bond ecologici, che hanno un appeal squisitamente finanziario. Un primo ecobond creato attraverso una partnership pubblico-privata nel Delaware, basato sull’efficienza energetica, per 67,5 milioni di dollari è stato collocato sulla piazza di Wall Street in trenta minuti, mentre il Massachusetts ne ha emesso uno da 100 milioni di dollari basato su questioni ambientali più generali. In entrambi i casi gli ecobond si sono aggiudicati un rating AA+ da Standard & Poors, un gradino al di sotto la famosa tripla A, ormai difficile da raggiungere e hanno un rendimento compreso tra il 3.2 e il 4%. Non poco se si pensa che negli Usa il costo del denaro oggi è ai minimi storici. Certo si tratta di strumenti diversi dalla collocazione in borsa, ma l’atteggiamento del mercato verso questi titoli basati sull’ecologia è significativo e denota un atteggiamento positivo che comprende anche i soggetti che puntano sull’ecologia con attività concrete.

Sulle linee strategiche per la crescita delle imprese all’interno del report “Green Economy on capital markets 2012” realizzato da VedoGreen emergono alcuni suggerimenti. In primo luogo è necessario avviare un processo d’internazionalizzazione attraverso operazioni di Mergers and acquisitions (M&A), oppure con investimenti diretti e, oltre a ciò, è molto utile diversificare la localizzazione geografica, magari nei paesi dell’est, oppure nei mercati emergenti attraverso delle joint venture. È auspicabile il rafforzamento dell’integrazione verticale della catena di valore attraverso partnership strategiche, mentre occorre consolidare la propria leadership estendendo l’attività in altri settori d’attività ecologici, riducendo i costi operativi e aumentando l’efficienza operativa. Infine, una delle linee strategiche più importanti riguarda il settore dell’energia, nel quale è utile il riposizionamento nel settore delle rinnovabili, integrando l’attività con le energie tradizionali.

Ecoimpresa in Italia

Per quanto riguarda l’Italia l’osservatorio VedoGreen ha da tempo messo sotto osservazione un panel di sedici aziende quotate sulla Borsa di Milano e che hanno la maggioranza delle proprie attività orientate all’ecologia. Si tratta di un gruppo di aziende che è utile osservare per vedere da vicino quali siano le dinamiche di imprese attive nel settore ecologico.

In media queste imprese hanno avuto un fatturato 2011 di 58 milioni di euro, in aumento del 9% rispetto al 2010, un EBITDA nel 2011 di 12 milioni di euro, più 15% rispetto l’anno precedente e un margine dell’EBITDA del 23%. Ma il potenziale delle aziende “ecologiche” quotabili in Borsa è ben più ampio rispetto alle sedici messe sotto osservazione da VedoGreen e arriva a cinquanta soggetti.

«Vedogreen ha mappato le eccellenze nazionali green private, analizzate nei risultati economico-finanziari 2011 e selezionate sulla base di criteri di analisi finanziaria e requisiti di quotabilità: sono state individuate 50 aziende green che esprimono una potenziale capitalizzazione di mercato di Euro 4,5 miliardi, un giro d’affari complessivo pari a circa tre miliardi di euro e impiegano complessivamente circa 7.700 dipendenti – spiega Anna Lambiase, Amministratore Delegato di VedoGreen –. L’analisi sulla percezione degli investitori condotta da IR Top per VedoGreen rileva grandi potenzialità dell’investimento nel green per il prossimo decennio, guidato principalmente dall’elevato livello di innovazione che l’industria green può offrire, specie nei comparti industriali piu nuovi legati all’efficienza energetica, eco-mobility, smart grids/smart cities e all’edilizia eco-sostenibile».

Necessità d’innovazione

Le aziende attive nel settore ecologico in Europa sono molto interessate all’innovazione tecnologica in campo ambientale, che nel Vecchio Continente non manca. Tra il 2007 e il 2009, per esempio, sono stati oltre 22.500 i brevetti legati all’innovazione ecologica in Europa, con tre nazioni che si sono aggiudicate la leadership tra i 27 paesi dell’Unione. Medaglia d’oro è stata la Germania, con il 19% dei brevetti, ma subito dopo, con il 6%, si è classificata l’Italia la quale ha superato sul filo di lana la Francia che si è guadagnata il bronzo con il 5% dei brevetti. Insomma anche se il distacco tra il primo e il secondo posto è netto, parliamo di una differenza in termini assoluti di oltre 2.900 brevetti nel settore ambientale, ciò dimostra una certa vitalità italiana nel settore della ricerca che sembra essere in controtendenza all’opinione comune. Gli oltre 1.350 brevetti italiani del periodo 2007-2009 sono concentrati all’80% nei settori della mobilità, della chimica e dell’arredamento, mentre le aree di ricerca più interessanti sono quelle legate al fotovoltaico di terza generazione e alle smart cities.

Se da un lato, quindi, le aziende necessitano di ecoinnovazione sia di prodotto, sia di processo per aumentare efficienza e competitività – nonché per reggere una concorrenza delle aziende estere a livello mondiale che punteranno anche esse su queste leve –, sotto un altro punto di vista bisogna tener presente che sia il sistema delle Pmi, sia il mondo della ricerca sul fronte del trasferimento tecnologico alle aziende arrancano e non poco. Gli spin off universitari si sono rivelati essere strumenti utilizzati poco e tardivamente, mentre chi ha liquidità sufficiente preferisce, molto spesso, attingere all’estero l’innovazione di cui necessita. L’offerta di ricerca esiste, così come è forte la richiesta d’innovazione da parte delle imprese, ma sembra non esserci un punto d’incontro. Un aspetto che sarebbe uno dei terreni d’adozione della politica. Se ci fosse una volontà chiara di avere una politica industriale orientata all’ecologia.

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L'autore

Sergio Ferraris

Sergio Ferraris, nato a Vercelli nel 1960 è giornalista professionista e scrive di scienza, tecnologia, energia e ambiente. È direttore della rivista QualEnergia, del portale QualEnergia.it e rubrichista del mensile di Legambiente La Nuova Ecologia. Ha curato oltre cinquanta documentari, per il canale di Rai Educational Explora la Tv delle scienze. Collabora con svariate testate sia specializzate, sia generaliste. Recentemente ha riscoperto la propria passione per la motocicletta ed è divenatato felice possessore di una Moto Guzzi Le Mans III del 1983.


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